giovedì 17 maggio 2007

MISSIONE BIELORUSSIA 2007

FRILUCLAUN VIP - BIELORUSSIA 2007
28 APRILE – 01 MAGGIO

Tutte le foto su:http://www.friulclaun.it/Album/Bielorussia2007_Kamo/index.html

DIARIO DI VIAGGIO DI KAMOMILLO

21 settembre 2003

Il mio diario incomincia qui.
Su questa pagina che scrivo con quasi quattro anni di ritardo e che oggi ha un senso scrivere.
Fu la nostra prima esperienza “ufficiale” in Friuli, quella domenica pomeriggio. Con Guancerosse e Chupa fummo invitati ad animare una festa in campagna per i bambini Bielorussi, ospiti a Ruda e Villesse per i soggiorni curativi.
Fu un’esperienza magica che ci coinvolse pienamente e con noi tutti i presenti, grandi e piccoli.
Quel giorno “qualcosa” mi disse: “dovete andare anche là” ma pensai che era solo uno dei miei tanti sogni e lasciai che questa voce se ne andasse, effimera.
Qualche giorno dopo scrissi due righe di ringraziamento alla presidente del comitato e su un vecchio dischetto in questi giorni l’ho ritrovata.

Era un segno, un messaggio che saremmo dovuti partire.
Poi quella voce ritorna, un anno fa circa. Qui discorsi che fai al bar, alla domenica dopo messa: incontri il presidente del comitato di Villesse, parli del più e del meno, “facciamo qualcosa assieme”, “si potrebbe…”, “è difficile ma pensiamoci…” eccetera eccetera.
Due mesi dopo sono seduto attorno ad un tavolo con Fabrizio e Rita, presidenti dei comitati “AAV” di Villesse e Ruda, e con Ermanno e Vittorio, referenti dell’Associazione e Fondazione “Aiutiamoli a Vivere”. Il clima è subito cordiale e di entusiasmo. Illustro il progettino e dopo meno di un’ora, mentre ci stringiamo le mani, mi sento dire “preparatevi a partire, al resto ci pensiamo noi”.
Il sogno può diventare realtà.

Dicembre 2006
Inizia il lavoro di preparazione. Per me è una cosa assurda che poi arriviamo a finire tutto all’ultimo momento. Sono abituato a preparare sempre tutto molto prima. In questo periodo ho imparato che in Bielorussia (ma immagino sia così anche in tante altre situazioni) nulla è scontato e che ciò che era vero stamattina potrebbe essere disdetto nel pomeriggio. I tempi della burocrazia poi sono lentissimi e si finisce sempre così: improvvisando. L’importante è che si finisca. Ma per chi è abituato ad avere tutto pronto un mese prima della partenza non è proprio il posto ideale.
Infatti nel corso di questi mesi il nostro programma viene stravolto almeno quattro volte, i voli spostati, i prezzi, le sistemazioni, gli ospedali, tutto cambia di continuo.
La settimana prima della partenza abbiamo il programma definitivo. Si parte il 28/4 alle 10.30 da Brescia, destinazione Gomel, poi il rientro sarà da Minsk. E’ tutto a posto, sembra.

27 aprile 2007

Ieri sera abbiamo fatto formazione. Poiché avremo da fare solo ospedali abbiamo un po’ tralasciato la parte gag e ci siamo concentrati sul gruppo e sulla definizione dei dettagli.
Oggi è la giornata della valigia che poi è li quasi pronta da un paio di giorni. La cosa buffa è che la mia è una valigia matrioska nel senso che nella valigia grande ci ho messo anche la valigia claun. Nella valigia claun ci ho messo i miei “attrezzi” e gli abiti claun. Nel poco spazio rimasto quei quattro indumenti che mi serviranno. Una felpina leggera, ‘che non si sa mai….
In questo modo sono quasi sicuro di non aver problemi con il bagaglio alla dogana.
Nello zainetto macchina fotografica, iPod e un giubbino.
E un po’ di nasi rossi.
Alle 17 mando l’ultima mail in lista fvg prima di spegnere il computer
Oggetto: ci siamo!
Ancora una corsa da Flip a prendere una magia e poi......poi chiuderò la valigia e inizierà il sogno... e sogneremo assieme.
Sarete tutti nel mio cuore e... ancora una volta...
GRAZIE
per tutto quello che avete fatto per mandarci in Bielorussia.
Questo è il viaggio di tutti.
A presto amici.
Kamomillo

Suona il telefonino, vedo il numero dell’Associazione di Trento.
“Pronto Paolo? Ciao, sono Michela…”
“Ma guarda che gentile” penso tra di me “ ha pensato di chiamare per salutarmi”.
Il suo tono di voce, però, non è allegro e festoso, anzi. “Paolo, senti, ci sono dei problemi, c’è un nuovo blocco dell’arrivo dei bimbi e il vostro volo è stato annullato. Partirete due ore dopo, mi dispiace”
Mi sento sprofondare. Partire due ore dopo sembra niente ma con un programma così intenso e dai tempi strettissimi come avevamo è una tragedia. In pratica salta il servizio del 28 maggio. Mi arrabbio un po’ con Michela che, poverina, non ha nessuna colpa. Poi mando subito un sms a tutto il gruppo per avvisarli che ci sono problemi e cerco di contattare Vittorio che non mi risponde. Trovo, invece Ermanno che mi spiega la situazione e mi dice che stanno lavorando al programma e che domani mattina sarà in aeroporto per darmi tutte le news.
Non atterreremo più a Gomel ma a Minsk. Avviso tutti gli altri del cambiamento di orario. Li sento molto tranquilli e questo mi rasserena, probabilmente mi sto facendo prendere un po’ troppo dall’ansia. Petardino, anzi, è quasi felice perché può dormire un po’ di più !
Alle 23.15 trovo sul computer due mail di Ermanno; una è il nuovo programma di viaggio: è massacrante ma almeno riusciamo a fare tutti gli ospedali.
Invio il messaggio di conferma lettura ed un attimo dopo suona il cellulare: Ermanno.
E ancora in sede a definire le ultime cose con l’agenzia. Scambiamo due parole e ci diamo appuntamento a domani mattina a Montichiari.
Un’ultima occhiata alle previsioni meteo in Belarus: farà freddo, forse nevicherà!! Mando una mail a tutti per avvisarli ma non credo che qualcuno riesca a leggerla.
Poi vado a letto ma, ovviamente, non riuscirò a dormire.

28 aprile 2007

La sveglia suona presto anche se non quanto avrei sperato visto il cambiamento di orario. E’ l’alba del grande giorno, il sogno che diventa realtà; ancora non riesco a realizzare bene.
Il ritrovo è a casa mia con Paperotta e Guancerosse, poi usciremo a San Giorgio a prelevare Ora e poi via all’autogrill di Portogruaro per incontrare il resto del gruppo. Petardino lo troveremo a Verona.
Saluto Lorena con un grande abbraccio, Federico dorme ancora e può accontentarsi di un bacio sulla guancia.
Carichiamo la macchina e partiamo.
Recuperiamo Ora a S. Giorgio. L’ha accompagnata Andale che doveva partire con noi e che, invece, grazie al regalo della cicogna, rimane a casa.
Rispettiamo il programma e facciamo una solo una sosta all’autogrill a Verona per recuperare Petardino. Poi via.
Arriviamo a Montichiari in perfetto orario, anzi, anche con un po’ d’anticipo, cosa piuttosto insolita per un claun! Abbiamo tutti la maglietta dei Friulclaun, quella gialla, a parte Ambaradan che ha quella blu; Amby è sempre stata speciale!
Carichiamo i carrelli dei bagagli ed entriamo in aeroporto.
Da questo momento siamo claun. Ce ne accorgiamo noi e se accorgono tutti. Siamo già nei ruoli e iniziamo da subito a diffondere gioia ed allegria.
Brilla è al suo primo viaggio, non solo in aereo ma proprio fuori di casa ed è piuttosto tesa. Più che tesa direi che è proprio rimbambita essendosi ingozzata di tranquillanti tanto che adesso sembra un fantasma.
Incontriamo un gruppo di persone e scopriamo che partiranno con noi. Si tratta di alcune famiglie che d’estate ospitano i bimbi bielorussi in Italia e che stanno partendo per andare a trovarli. Sembrano tutti molto “esperti” della Bielorussia e ci dispensano un sacco di consigli e informazioni ma sono molto curiosi della nostra esperienza.
Sbrighiamo le formalità e ci prepariamo all’imbarco. Nel frattempo ci hanno raggiunto Ermanno ed Aurora dell’Associazione di Trento e ci accompagnano fino all’imbarco. Hanno un tesserino speciale che li autorizza a girare per l’aeroporto e che utilizzano quando arrivano i voli con i bimbi.
Conosciamo anche Paola, sempre dell’Associazione che sarà la nostra accompagnatrice e terrà i contatti con l’Associazione stessa a Minsk.
E’ indubbiamente imbarazzata a sapere di dovere viaggiare con nove pazzi sconosciuti ma la vedo anche molto entusiasta.
Lei più di tutti è delusa dall’ultimo cambio programma: sarebbe dovuta rientrare con il suo gruppo di bimbi e con il bimbo che avrebbe accolto per il prossimo mese ma così non sarà.
L’altoparlante ci invita all’imbarco. Salutiamo Ermanno ed Aurora e ci avviamo all’aereo, un Tristar della Belavia dalle condizioni sicuramente non rassicuranti. Brilla ha il tavolinetto che gli casca sulle ginocchia e che riusciamo a sistemare con dello scotch ma quello che più ci lascia perplessi è il “pongo” che abbiamo visto sul portellone dell’aereo.
Tuttavia il volo trascorre sereno. Brilla si è tranquillizzata e riesce a godersi il suo volo, gli altri di dividono tra chiacchiere e riposini. Paola comincia a fraternizzare e poco dopo si ritrova già col naso rosso al collo.
Io ho l’adrenalina che sprizza dai pori e approfitto per infilarmi le cuffiette e tentare un po’ di rilassamento, cosa che mi riesce benissimo visto che dopo poco mi addormento.
Tre ore passano veloci e l’aereo già scende.
A Minsk fa freddino e mi accorgo che l’aria condizionata dell’aereo mi sta giocando qualche brutto scherzo alla gola.
Appena iniziamo a scendere mi accorgo che stiamo davvero entrando in un altro mondo. Sotto la scaletta un funzionario dell’aeroporto ed un militare con un divisa ed un cappello davvero da cortina di ferro. Le facce serie, rigorose.
Anche all’interno veniamo invitati, con modi educati ma rigorosi, da una signora in divisa ad scendere un scala per avviarci alla dogana.
Ci viene dato un foglietto da compilare scritto in inglese (che praticamente nessuno conosce) e in russo che, ovviamente, conosciamo tutti ma non in quel dialetto lì. Nemmeno il cirillico ci aiuta.
L’interprete è a Gomel (450 km). Ma dovrebbe esserci qualcuno dell’associazione di Minsk.
Per fortuna arriva una funzionaria dell’aeroporto (sempre in divisa) e ci illumina e quindi riusciamo a preparare il fatidico biglietto.
Al controllo passaporti è già gag. Mentre faccio controllare il visto del gruppo, Petardino tenta di superare la fatidica linea gialla ed a ogni tentativo parte la sirena MaxPax.
Le guardie che continuano ad ostentare rigore nascondono a fatica le risate finchè crollano.
Il primo muro è abbattuto.
Le condizioni dell’aeroporto internazionale di Minsk sono squallide, tutto è grigio. Io, Max e Petardino abbiamo bisogno del bagno e su questo tralascio i dettagli.
Incontriamo finalmente Svetlana, ci accompagna al pulmino, un bel 12 posti, e ci dà le ultime info.
Carichiamo i bagagli e salutiamo.
Sasha, l’autista, chiude le porte, gira la chiave e parte.
Inizia l’avventura in Bielorussia.
Il viaggio è piacevolissimo anche se dobbiamo percorrere centinaia di chilometri ma ne approfittiamo per caricarci (se mai ce ne fosse bisogno) e per dare quell’ultimo amalgama al gruppo.
C’è un sacco di gente ai bordi della strada. Vendono mele e funghi. Ed altre cose che non so.
Il paesaggio è incantevole. Decine di chilometri di strada dritta immersa nei boschi di betulla e di pino. Ogni tanto il paesaggio boschivo è interrotto da immense distese di prati verdi e dalla dacie, i piccoli villaggi dalle case di legno.
Sembra una favola perché nella loro miseria queste case hanno la caratteristica di avere i contorni delle finestre intagliate e di essere coloratissime, prevalentemente azzurre.
Vederle al tramonto, con i camini fumanti e le poche luci accese, ricorda il presepe.
All’interno, spesso, la gente non ha di che mangiare.
Nel frattempo Paola è già diventata claun Pipetta ed è già parte del gruppo.
Ogni volta che penso alla capacità aggregativa del nostro gruppo riesco ancora a sorprendermi dello straordinario potere del naso rosso. Ancora non ho conosciuto qualcuno che abbia trascorso del tempo con noi e che poi non abbia desiderato dirci di essere stato bene.
Arriviamo a Gomel che già è buio.
Al parcheggio dell’aeroporto troviamo ad aspettraci Laila, la nostra interprete, una bella e simpatica ragazza di Gomel che per tanti anni ha accompagnato i gruppi di bimbi in Italia.
L’albergo è enorme e ci sono in corso dei matrimoni. Per questo motivo, per la cena, ci hanno preparato un tavolo nella sala degli spettacoli.
Noi abbiamo bisogno di una doccia e poco dopo siamo in tavola.
Quando mi siedo penso alle missioni VIP di cui ho letto diari e condivisioni. Ambienti poveri, condivisione di poco. Noi invece siamo seduti ad un bellissimo tavolo di un grande albergo. Abbiamo piatti e posate eleganti e ceniamo guardando uno spettacolo di balletti e cantanti.
Un po’ mi sento a disagio, quasi in colpa.
Non avremmo comunque potuto dormire e cenare da altri parti, non siamo ancora organizzati per questo e, probabilmente, il governo non ci avrebbe fatto dormire negli istituti.
E’ la prima esperienza e dobbiamo scoprire questo mondo. Così dopo un po’ mi rilasso e mi godo la serata.
In ogni caso, questa, non doveva essere una missione e non lo sarà.
Dopo un po’ siamo tutti a pezzi e nonostante un tentativo di condivisione ripieghiamo su un mini briefing ed andiamo tutti a letto. Ma sarà un’altra notte quasi insonne.

29 aprile 2007

E’ il grande giorno. Quello dei servizi in ospedale. La sveglia suona abbastanza presto, forse troppo presto visto che credo di non aver dormito più di due ore. Guardo fuori dalla finestra il cielo è grigio e cupo e vedo le bandiere sventolare forte. Le poche persone che si vedono passare indossano giubbotti pesanti. Spero che i miei compagni si siano portati una felpina leggera.
Scendo per la colazione e trovo tutti quanti. Mi accorgo di essere praticamente senza voce.
La colazione è discreta ed approfittiamo anche per infilarci qualcosa in tasca dato che, dopo aver saltato il pranzo ieri è molto probabile, visto il programma, che lo salteremo anche oggi. Per cui cerchiamo di farci un po’ di scorte.
Poi risaliamo in camera, ci cambiamo e ci trucchiamo e, dopo aver caricato tutti i bagagli, partiamo verso l’ospedale.
Fa indubbiamente freddo.
L’ospedale è una struttura enorme, nuovissima, molto bella con un gran giardino davanti. Oltre ad essere un ospedale oncologico avanzato è anche un importante centro di ricerca per la studio di queste malattie.
Si dice sia stato costruito con i fondi personale del presidente Lukashenko…..
Corriamo veloci all’atrio dove ci raduniamo in fretta perché fuori fa davvero freddo. Nell’atrio, dietro un tavolino, c’è una poliziotto della “Miliza” con tanto di divisa, cappello e sfollagente; eppure mi sembra che la gente non faccia a botte per entrare qui!
Comunque è lui che ci accoglie, poi chiama una signora ne segue un giro di telefonate finchè arriva il benestare per andare in reparto.
Max parte col rito iniziale e via!
Attraversiamo il cortiletto interno dell’ospedale e siamo davanti all’ingresso del reparto di ematologia dell’ospedale di Gomel.
Pur trattandosi di una struttura nuovissima e “all’avanguardia” la situazione del reparto è molto diversa da quella in Italia. Le condizioni di ambiente sterile non sono così ricercate come da noi. I bimbi sono in isolamento solo durante i trattamenti, che peraltro sono rari causa mancanza farmaci, e stanno tutti assieme; al massimo qualcuno porta la mascherina.
I bimbi sono tutti vestiti normalmente, nessuno di loro porta il pigiamino come nei nostri ospedali.
Quando arriviamo noi stanno finendo la colazione in una stanza, tutti assieme.
E’ ovvio che il nostro arrivo porta scompiglio anche se già sapevano che saremmo arrivati.
Tutti bimbi possono alzarsi dal letto per cui ci seguono e quindi decidiamo di portarli tutti in sala giochi.
La sala giochi altro non è che una stanza abbastanza grande con un tappeto a terra (un tappeto tipo indiano, ottimo per la polvere!) e come giochi una scacchiera e una specie di subbuteo rotto.
La stanza però è molto luminosa e sulla parete, almeno, c’è disegnato un grande albero. Ciò che mi ha colpito dall’ingresso in ospedale a qui, nonostante la struttura nuovissima e moderna, è il “grigiore” di tutto. Non c’è niente, non un quadro, non una pianta, figuriamoci la televisione, ci sono solo i muri e i letti. Ma manca anche la confusione, non vedo medici o infermieri che girano, parenti in visita, niente campanelli che suonano o altoparlanti che chiamano. Nulla, sembra tutto congelato.
I bimbi sono deliziosi. Dopo un brevissimo istante di esitazione partono alla grande e si lasciano coinvolgere con tutto. Le marionette sono la grande attrazione anche perché questi bimbi raramente hanno visto un peluches, giocattoli quasi mai. Le bolle, poi, sono davvero magiche.
Improvvisiamo alcune gag, classiche ed inventate sul momento.
Con Ambaradan, ad esempio, improvvisiamo una pantomima di un calcio di rigore in cui riusciamo coinvolgere un sacco di bimbi che fanno il calciatore, l’arbitro, il pubblico che fa la “ola”.
Il tutto senza dirci una parola perché il russo non lo sa nessuno. Ma l’intesa con i compagni è straordinaria e siamo tutti concentratissimi. Essere in una stanza con tanti bimbi che vogliono “sfruttarci” al massimo ci impone un’attenzione e concentrazione altissima. I ritmi sono elevatissimi e me ne accorgo dalla maglietta inzuppata di sudore.
Con i più grandi (ce ne sono anche un paio di circa 15 anni) riusciamo a fare delle micromagie poi, sempre con Ambaradan insegniamo loro come fare le sculture di palloncini. Sono bravissimi ed imparano subito. Così lasciamo un sacchetto di palloncini e una pompetta.
I bimbi sono meravigliosi e sono entusiasti di giocare con noi. Per loro è una cosa inimmaginabile che qualcuno sia andato lì per loro. In Bielorussia la parola volontariato non ha senso.
Tre ore volano davvero via.
Ci riuniamo in cerchio tenendo i bimbi per mano e li salutiamo. Io non ce la faccio, un po’ per la voce ma soprattutto per l’emozione e lascio l’incarico a Max che parla e Lilia traduce.
Poi li salutiamo ad uno a uno abbracciandoli. E qui capisco cosa sono gli abbracci veri. Ne avevo sentito parlare tante volte dagli amici che erano stati in missione ed ora capisco che finchè non li provi davvero non sai cosa sono. Ti mandano davvero fuori di testa da quanto sono intesi. Vorrei saper abbracciare sempre così e vorrei lo sapessero fare tutti.
“Spassiba” “Pakà”. Ti si stringe il cuore ma sai che devi andare.
Usciamo piano piano salutando tutti, bimbi, mamme e personale. C’è il sorriso sui volti di tutti. I bimbi portano nelle camere i palloncini e qualche ricordino che abbiamo lasciato.
Esco dal reparto per primo e sento la porta chiudersi dietro me. Sarà che Kamomillo è rimasto ancora dentro ed è uscito Paolo, sarà la gioia di aver realizzato un sogno, sarà anche lo scaricarsi dalla concentrazione, ma non riesco a trattenermi e scoppio a piangere. Un istante dopo sento l’abbraccio di Brilla e anche le sue guance sono bagnate. Cerchiamo di riprenderci; “Non adesso – le dico – non qui”
E usciamo dall’ospedale.
Saliamo sul pulmino e sento che un po’ tutti “sbuffano” per scaricare la tensione.
E’ stato emotivamente sconvolgente per l’intensità in cui l’abbiamo vissuto. Non che ci fossero situazioni particolari ma l’affetto e la gratitudine che abbiamo ricevuto erano di un’intensità cui non siamo abituati.
Sul pulmino siamo tutti silenziosi. Io preferisco mettermi le cuffiette e scaricarmi con un po’ di musica. Stringo la mano di Ambaradan in un grazie reciproco perché, tra l’altro con lei ho interagito alla grande.
Dopo un po’ cominciamo a scioglierci. Ci giunge la notizia, via telefono, dell’entusiasmo da parte della direzione dell’ospedale per quello che abbiamo fatto.
Queste manifestazioni di entusiasmo, in Bielorussia, sono una cosa eccezionale per cui siamo molto felici di riceverle.
La prossima tappa è l’ospedale di Sennò. A circa 350 km. Durante il tragitto Laila riceve una telefonata in cui le viene chiesto se, a Sennò, prima di andare in ospedale vogliamo passare a visitare la scuola/fabbrica sostenuta dalla Fondazione “Aiutiamoli a Vivere”. Facciamo due conti con gli orari, ovviamente saltiamo il pranzo, e decidiamo di fermarci una mezz’oretta.
Così mentre il furgone viaggia riesco a dormire una ventina di minuti che più che altro mi servono per scaricarmi. Poi approfitto per mandare dei messaggini a Lorena, a Marea e ad Aureola.
Il furgone profuma di amuchina, d’altra parte non è che abbiamo molta possibilità di lavarci di più. Approfitto per rifarmi il trucco ed arriviamo alla scuola/fabbrica. In questo istituto sono accolti circa 200 bambini fino ai 18 anni. Qui vivono, studiano ed imparano alcuni mestieri: falegnami, sarte, contadini.
La falegnameria, costruita dalla Fondazione, produce lettini per bambini che la Fondazione stessa compra ed invia altri istituti. Con i lavori di falegnameria e di agricoltura la struttura è quasi autosufficiente. Anche perché i grossi lavori di manutenzione vengono svolti, in estate, da gruppi di decine di volontari italiani che in quindici giorni sono capaci di demolire e ricostruire un’ala dell’edificio.
Ci accoglie un gruppetto di una ventina di ragazzini, poi entriamo e ci viene offerto da mangiare!
Burro, pane scuro, formaggio e una specie di mortadella. E del the caldo.
Sapere che questo istituto fa i salti mortali per dar mangiare ai ragazzi e trovarci ai loro tavoli a mangiare ci fa venire senso di colpa. Ma eravamo stati avvertiti da Ermanno che non avremmo potuto rifiutare: sarebbe stata una grossa offesa. Per cui accettiamo e ci sediamo a mangiare in compagnia, tra l’altro, di Michele, un simpaticissimo signore volontario dell’Associazione di Trento che un paio di volte all’anno viene lì “a dare una mano”.
Una rifocillata ci voleva! E approfittiamo anche dei bagni non solo per lavarci un poco!
Poi finiamo di visitare, velocemente, l’istituto e infine Michele ci chiede se dobbiamo andare via o se vogliamo salutare i bambini. Domanda inutile…
Ci accompagna lungo un corridoio e entriamo in una stanza tipo teatro.
Con enorme sorpresa quasi 200 bimbi (e qualche adulto) sono seduti lì in silenzio ad aspettarci.
La prima cosa che mi chiedo, immediatamente, è “e se fossimo andati via?” e la seconda è “ e adesso cosa facciamo?”
Saliamo sul palco e i bimbi sono lì, composti. Partiamo con il gioco degli applausi, poi un bans, poi le magie e un popcorn a 18 mani. Incredibile! I bimbi ridono, si sganasciano proprio! Poi quando scendiamo in mezzo a loro si lasciano coinvolgere, anzi sono loro a inventare i tormentoni.
Mi sono giocato l’ultimo filo di voce.
Dovevamo stare mezz’ora siamo lì da più di due ore e dobbiamo ancora andare in ospedale. Saliamo sul palco e ci teniamo per mano per i saluti. Tocca ancora a Max.
E io sento ancora quella voce che mi dice “guarda che qui non hai finito…”.
Allora sussurro a MaxPax “promettigli che torneremo, promettiglielo!!”. Max mi guarda e mi dice “Kamo, guarda che poi….” “Promettiglielo!” . E MaxPax promette.
Usciamo tra due ali di bimbi, come delle star.
Saliamo sul pulmino e li salutiamo dai finestrini. Sono tutti fuori a salutarci. Avrei davvero voluto stare di più e vorrei davvero, in futuro, si possa passare almeno una notte lì.
“Go! Sasha…Go!” dobbiamo raggiungere in fretta l’ospedale. Ci staranno aspettando.
Sapevano che l’ospedale di Sennò sarebbe stato quello più difficile dal punto di vista della situazione che avremmo trovato. Parlando tempo fa con Aurora, una volontaria che l’aveva visitato, mi era stata descritta una situazione abbastanza difficile. Per cui eravamo preparati.
Arriviamo infatti poco dopo all’ingresso dell’ospedale. In verità noi pensiamo di essere in un’entrata secondaria ma non è così. Si entra proprio da lì.
Prima di entrare Lilia diventa ufficialmente claun Pitina e le viene consegnato il naso rosso.
La struttura è davvero fatiscente, il muro si sgretola un po’ ovunque e i serramenti, di legno, sono marci. L’ingresso è una porta di legno verde che dà in un disimpegno. Appoggiata al muro, una barella del pronto soccorso tipo prima guerra mondiale.
Non c’è un buon odore nell’aria ma è sopportabile. Tra l’altro sapendo che saremmo arrivati hanno sicuramente messo a posto il più possibile.
Percorriamo alcuni corridoi bui. Ed entriamo in reparto dopo il rito iniziale. Ad accoglierci la responsabile del reparto, una bella dottoressa bionda con i tacchi altissimi che contrasta davvero con la miseria che ci circonda. Poi arriva anche il primario che all’inizio sembra scettico e poi si lascia andare in parole meravigliose sul senso del sorriso e della gioia. E ci chiede aiuto perché lì manca tutto, soprattutto farmaci.
Qui i bimbi sono nelle loro stanze ma poco dopo sono quasi tutti riuniti nella stanza in fondo al corridoio che funge da mensa, infermeria, farmacia, lavanderia ecc ecc.
Altri bimbi, quelli che stanno meno bene, sono nelle stanze che hanno delle grandi vetrate per cui si vede dentro.
Io giro un po’ nelle stanze. In una di queste, una bimba a letto attaccata alla flebo non ne vuole sapere di sorridere. Le proviamo tutte, gag bolle magie finchè prima di uscire le faccio la magia del cartoncino col sorriso e le lascio in mano, girato, il cartoncino sorridente. Lei sempre con la faccia seria lo gira, la guarda e, meravigliata, le scappa un mezzo sorriso che subito cerca di nascondere. Ma ormai è fatta, Brilla e Ambaradan non si fanno sfuggire l’occasione e partono in quarta e la bimba scoppia a ridere. Più tardi la troveremo a ballare il coccodrillo nella stanza in fondo.
Ogni tanto mi guardo in giro, dentro le stanze. C’è davvero tanta miseria, questi bimbi e le mamme non hanno niente. Eppure se chiedi di fare una foto vedi le mamme che quasi vergognano per come sono conciate e si aggiustano i capelli.
I mobili sono vecchie malandati, il pavimento di legno tranne che in corridoio dove ci sono delle piastrelle scivolosissime. In fondo, vicino alla stanza dove stiamo giocando c’è una stanza che funge da lavanderia, per i panni ma anche per i bimbi. E le condizioni sono allucinanti. Da un’altra porta vedo dei panni stesi e dei secchi a terra. Non oso aprire oltre.
Brilla riesce a conquistare un bimbo che per tutto il tempo si era isolato e girava a testa bassa. Ora è con tutto il gruppo e gioca. Però ha dovuto barattare la sua armonica a bocca con un sorriso. Se continua così Brilla torna casa con la valigia claun vuota.
Io invece ogni tanto continuo la mia sfida con un bimbi che non vuole farsi abbracciare, lo rincorro scappa, mi giro e vado via e lui rincorre me.
Ormai è tardi e i bimbi devono riposare. La dottoressa dice che sono stanchi ed è vero. Li salutiamo in cerchio come sempre. Anche qui tocca a MaxPax anche perché qui davvero di voce non ne ho più.
Mentre usciamo abbracciamo tutti i bimbi e anche qui sono abbracci che ti lasciano il segno.
Poi prima della porta vedo il bimbo delle mie sfide accanto alla mamma. Allora mi abbasso e mi avvicino piano piano a lui a braccia aperte. Quando sono a due metri lui si stacca dalla mamma e corre tra le mie braccia. Lo stringo per un po’ poi “Pakà” ci salutiamo, un ciao pieno d’amore perché davvero non puoi non amarli.
Usciamo e alla finestra, quella che dà sul nostro pulmino, ci sono un po’ di bimbi a salutarci.
Meglio partire subito prima che le lacrime abbiamo ancora il sopravvento.
Ciao bimbi, ciao.
Durante il viaggio di ritorno Pitina ci dice che la dottoressa era meravigliata di noi e che la cosa che più la colpiva era la nostra capacità di essere bambini e di giocare con loro.
Ci fermiamo per la cena fuori Sennò perché poi dovremo viaggiare fino a Minsk per altri 400 km circa.
Ceniamo tutti assieme anche con Sasha. Carne e verdure sono buone. E ceniamo con meno di 4 euro a testa.
Poi via fino a Minsk. Durante il viaggio di ritorno facciamo condivisione e leggiamo i foglietti che i nostri compagni, durante l’ultimo allenamento, hanno messo nelle nostre valigie. Per primo tocca a me. Prendo il primo foglietto e leggo “Vivrai un’esperienza unica ed indimenticabile. Cerca di apprendere le tecniche degli altri claun per essere anche tu finalmenteuin vero claun, Fai tesoro della perfezione degli altri e non abbatterti se non sempre ce la farai”. “Cominciamo bene” , penso tra me. Poi il secondo “Son sicura che questa missione porterà della positività anche ad una persona come te “. Di bene in meglio. Solo quando in uno dei messaggi colgo la cripticità del tipico linguaggio di DuoDeno realizzo che si tratta di uno scherzo. I miei compagni ridono e rido anche io ma loro non conoscono ancora le capacità vendicative di Kamomillo!!!
Poi, invece, leggiamo i pensieri, quelli veri. E sento vicino a noi tutti i Friulclaun, li sento come non mai.
Quando abbiamo fatto lo spettacolino a Sennò ho dato uno schiaffo al cappello di Ambaradan ma non è volato via. Mi mancava Uffa. Durante Popcorn alla mia destra non c’era Stecchino. Questo solo per esempio ma pensavo a quanto sarebbe stato bello averli tutti qui, i nostri compagni, a fare la claunbarca come in SorriDando o a condividere come a fine allenamento. Ci sono stati momenti in cui li sentivo così vicini che mi voltavo convinto di vederli. Il pensiero a loro era sempre fisso. Nel silenzio dei miei pensieri li ringrazio uno ad uno per aver fatto in modo che oggi fossi lì.
Vorrei aver sentito un po’ più vicino anche VIP Italia, ma questa non era una missione e, volutamente, non abbiamo divulgato tanto l’avvenimento. Ma avrei tanto voluto sentire la partecipazione di tutti. Se ci sarà un futuro, ci penseremo.
Condividiamo un po’ sul pulmino poi la stanchezza ha la meglio.
A notte fonda arriviamo a Minsk. L’albergo è faraonico anche se praticamente vuoto. La divisione delle stanze fa si che io debba dormire con DuoDeno: non doveva essere una missione ma lo stà diventando. Però, stanotte, dopo una doccia che lava via sudore ed emozioni, almeno per qualche ora, riesco a dormire.

30 aprile 2007

Sono sveglio abbastanza presto. Ho dormito poco ma ho riposato abbastanza anche perché DuoDeno mi ha graziato e ha russato poco poco. Capisco subito che la voce non ne vuol sapere di uscire.
La colazione è ottima anche se non abbondante. Latte e miele con la speranza di aiutare la voce a riprendersi.
Ritorniamo in camera per truccarci e vestirci e poco dopo siamo pronti a salire sul pulmino. Fuori fa freddo e il tempo è grigio. Per fortuna abbiamo la felpina leggera.
In breve siamo all’ospedale pediatrico di Minsk che sarebbe come dire il “Bambin Gesù” di Roma. In realtà si tratta di una struttura vecchia con gli intonaci screpolati e i serramenti a pezzi. Sasha riesce a parcheggiare in prossimità dell’ingresso principale così non prendiamo tanto freddo.
All’ingresso la solita guardia vigila armata di sfollagente. Ci raggiunge la direttrice dell’ospedale, molto cordiale e felice di vederci. Ci spiega un po’ come funzionano i reparti e gli orari in cui possiamo stare poi ci affida ad un collega medico che ci accompagna in ascensore al reparto.
Noi oggi potremo fare solo due reparti. Il primo è praticamente una Medicina.
Il reparto è piuttosto grande e sebbene sia abbastanza ben tenuto è comunque vecchio. Anche i pochi mobili e i letti nelle camere sono vecchi e malconci. Qui almeno vediamo qualche pianta e qualche disegno appeso alle porte. Anche qui i bimbi sono vestiti e non in pigiama. In breve si radunano nello spazio comune, i più piccoli in braccio alle mamme o alle nonne.
Qui ci accorgiamo un po’ della differenza dei bimbi rispetto a quelle degli altri ospedali. Sono bimbi che vivono per la maggior parte in città e sono meno timorosi degli altri. Ce ne accorgiamo nelle richieste dei palloncini sebbene sia sempre molto educati. Ogni palloncino nuovo che ricevono corrono a nasconderlo nella proprio camera. Non li avevano mai visti e li conservano come fossero dei tesori. I bimbi giocano con noi e noi con loro, improvvisiamo delle gag, balliamo, facciamo anche un trenino per il reparto al ritmo della Calimero Dance grazie al maxi stereo giallo che abbiamo portato dall’Italia!!
Fuori nevica.
Pitina ci informa che un bimbo ha detto che noi li vogliamo fregare perché in realtà siamo dei dottori visto che abbiamo il camice. Speriamo si sia convinto!
Dopo tre ore di balli, canti, marionette, bolle e palloncini siamo esausti e i bimbi devono pranzare. Dobbiamo lasciare l’ospedale per ritornarci alle 16, dopo il riposino. Andremo, però, in un altro reparto.
Chiudiamo in cerchio ed ancora MaxPax a portare i saluti mentre Pitina traduce. Quando Max ha finito e siamo tutti li col magone, un piccolino, un bimbetto alto quanto un funghetto spunta nel cerchio e grida “Spassiba” (grazie). Non una, ma tre volte. E giù lacrime come la fontana di Trevi! Poi abbracci ancora quegli abbracci che vorresti non finissero mai, anche coi bimbi più grandi.
Usciamo che sta spuntando il sole ma scendono ancora fiocchi di neve. Immancabile la foto con la neve e belli e sudati che siamo penso “stavolta ci lascio le penne”. Poi vestiti e truccati andiamo a pranzo. Per non girare molto Sasha (che poi magari si scrive Sascia…non lo so) ci porta in un bel ristorantino lì vicino. Ma bello bello! Elegante e di tendenza dove mangiamo benissimo e beviamo caffè italiano. Anche il conto però è in italiano. Vabbè… eravamo abituati troppo bene.
Noi siamo sempre vestiti e truccati ma alla gente piace. Lungo la strada sempre ci salutano, anche le macchine che si affiancano ridono e salutano. Poliziotti, pedoni, conducenti di autobus: è un’epidemia che dilaga!! Anche al ristorante sembrano tutti divertiti.
Passa a salutarci ancora Svetlana che ringraziamo di cuore. Poi ritorniamo in ospedale.
Stavolta ad accompagnarci in reparto è proprio la guardia. La seguiamo lungo meandri bui (proprio senza luce!) e scale impervie. Il tortuoso percorso ci porta al reparto “allergici” che è praticamente uguale a quello di prima.
Anche qui giochi, balli, gag e tanta tanta gioia. Per un pochino riusciamo a coinvolgere anche qualcuno del personale e questo è un grande successo. In ogni caso sia qui che al mattino ho visto le infermiere ridere a crepapelle.
Anche qui ognuno di noi ha la sua storia da raccontare. Bimbi molto chiusi che poi ti aprono all’improvviso, bimbi che ti prendono per mano e non ti lasciano più, bimbi che ti regalano molto di più di quanto possiamo dare loro.
Verso la fine scoppia la gara dei mostri. Un bimbetto pestifero lancia la sfida urlando con voce rauca. Raccolgo la sfida e mi prodigo nel più brutto dei mostri, ma lui replica e vince. Applausi.
Ma ecco che entra in scena il campione del mondo della gara dei mostri, DuoDeno, che sfodera il suo pezzo forte. Per nulla intimorito il piccolo risponde a tono e con voce cavernicola demolisce anche DuoDeno, che perde il titolo.
Ancora una volta però, dobbiamo andare. La dottoressa ci dice che i bimbi sono stanchi e in effetti si è fatto tardi.
Ancora in cerchio, stavolta provo a chiudere io. Con quel filo di voce che trovo non so dove, saluto i bimbi augurandogli di poterli incontrare ancora fuori di lì.
Le ultime parole sono “Vi vogliamo bene”.
Poi ancora abbracci che stavolta sembrano davvero non finire più, anche perché sono gli ultimi.
Mi ritrovo a dover richiamare i miei compagni per andare via perché la dottoressa ci ha ricordato che era ora di cena. Ecco questa è una cosa che proprio mi disturba. Essere lì a dire a tutti “Andiamo, andiamo…” mentre gli altri ancora si abbracciano. Sembra quasi che sei senza cuore e invece il mio cuore era in subbuglio come lo stomaco e la testa. Che brutto è, qualche volta, dover essere razionali.
Usciamo che nevica ancora, il cielo è grigio e fa freddo. Ci mettiamo in posa per una nuova foto e vedo sul tetto dell’ospedale un grande stormo di uccelli che si appoggia veloce e poi riparte. Un po’ come abbiamo fatto noi in Bielorussia. E’ senza dubbio un messaggio.
Mentre scattiamo la foto l’occhio scorre sulle tante finestre che si affacciano. Appare un bimbo, saluta. Poi un altro, un altro ancora, e dieci, venti…sono tantissimi, tutte le finestre sono piene di bimbi. In alcune vediamo i nostri palloncini e bimbi festanti, in altre qualche viso triste.
E’ un immagine stupenda. Decine di finestre pieni di bimbi che ci salutano. E’ da impazzire.
Ce ne andiamo attaccati ai finestrini finchè non scompare l’ultimo pezzettino di ospedale dalla nostra vista.
Siccome abbiamo un po di tempo, prima della cena, Sasha e Pitina ci fanno fare un giretto turistico di Minsk. Così vediamo un paio di monumenti, teatri, parchi, palazzi. Ovunque fanno bella mostra i simboli del comunismo. Grandi stelle rosse e statue di Lenin. Poi passiamo davanti allo stadio di Minsk e ci fermiamo un attimo. Pitina vede un portoncino aperto ed entra e chiede ai custodi se possiamo vedere lo stadio. Gentilissimi ci fanno entrare e scendere fino alla pista raccomandandoci solo di non calpestare l’erba. Lo stadio è immenso e deserto e noi siamo lì, in mezzo ad improvvisare gag come fossimo davanti a 50.000 spettatori. Probabilmente saremo stati i primi claun a scendere su quella pista ma non abbiamo avuto un gran successo di pubblico. Unico spettatore il custode che dall’alto vigilava.
Torniamo in albergo e dopo una sana doccia andiamo a cena. Ancora carne e verdure ma con l’appetito che abbiamo mangiamo tutto. Mi spiace che Sasha non sia con noi ma lui abita a Minsk e preferisce andare a casa.. Prendiamo anche il gelato. Manca il caffè perché è stato prenotato solo il thè. Chiediamo se è possibile cambiare e ci viene risposto “Niet!”. Pazienza, però il caffè è sempre il caffè…Però poi riusciamo a berlo al bar.
Prima di salire in camera condividiamo. Ci sediamo tutti sui divanetti, Pipetta non ce la fa e và a dormire. Uno alla volta iniziamo a condividere, Brilla la dobbiamo interrompere perchè ci scade il visto. Anche io, per ultimo, condivido con poche parole perché mi prende l’emozione. Tanta è la gioia che ho dentro che fatico a tirarla fuori tutta. Quando finisco MaxPax prende la parola per chiudere la condivisione. A quel punto, Pitina, l’interprete che si è fermata con noi, si intromette e ci dice “se permettete vorrei condividere anch’io”. Rimaniamo tutti sorpresi e con gioia la ascoltiamo mentre ci racconta di aver trascorso giorni bellissimi come non aveva mai vissuto e ci ringrazia per tutto quello che abbiamo fatto per i bimbi ma anche per lei. Sono parole bellissime che lasciano il segno ma ciò che ci colpisce è come Pitina si sia sentita parte del gruppo e di come abbia vissuto, con noi e come noi, questa esperienza. La cosa strana, poi, è che non avrebbe dovuto essere lei ad accompagnarci in quanto da tempo non collabora più con la Fondazione ma è stata scelta per la sua capacità, oltre che di traduttrice, anche di rapportarsi con gli enti. Io credo solo che lei doveva conoscerci e viceversa.
E’ tardissimo e la sveglia per domani è fissata alle 4.45! Ci lasciamo con un abbraccio e andiamo a dormire.

01 maggio 2007

Quando ci chiamano per la sveglia sembra un incubo ma velocemente ci alziamo e ci prepariamo; Duodeno prima di me. Le valigie sono pronte da ieri sera. Ho faticato un bel po’ per ricostruire la valigia/matrioska ma a furia di pigiare dentro ce l’ho fatta. Ritiriamo i documenti e ci prepariamo sul furgone. Nevica, anche piuttosto forte e i bordi delle strade stanno imbiancando. Sta sorgendo il sole ed è un momento bellissimo. Attraversiamo Minsk all’alba. La città si sta svegliano ma per le strade troviamo solo i reduci delle discoteche che tornano a casa, soprattutto ragazze.
Arriviamo all’aeroporto e poco dopo ci chiamano per i check-in. Dobbiamo salutare Sasha e e Pitina. L’abbraccio è sincero, di profonda amicizia. Li ringraziamo per tutto quello hanno fatto per noi, soprattutto per l’infinita disponibilità a qualsiasi cosa. Sono stati grandi. Abbiamo fatto una piccola colletta per loro, non era molto ma con gli stipendi che ci sono qui gli faranno comodo.
E via al controllo passaporti. Poi tutti i controlli ed infine l’imbarco. Anche Guancerosse, che aveva perso il biglietto, non ha problemi grazie all’intervento dell’agenzia da Roma.
All’imbarco ritroviamo Michele che avevamo conosciuto a Sennò e si parla un po’ della situazione in Bielorussia aspettando che ci chiamino. Tra l’altro c’è una nuova variazione al programma. Partiamo da Minsk per andare a Gomel a caricare altra gente, da lì, poi, in Italia.
Fuori una bufera di neve.
Arriva il momento di imbarcarci, stavolta l’aereo è un più moderno 737. Io e Guancerosse abbiamo la fortuna di avere i posti assegnati in prima classe anche se nessuno si accorge della differenza. Però è pur sempre piacevole saperlo!
L’aereo parte ed è subito tra le nuvole. Questa terra mi è sparita troppo presto, per fortuna riatteriamo a Gomel. A Gomel invece c’è il sole anche se a guardare gli abbigliamenti deve fare piuttosto freddo. Approfitto della sosta per avvisare Lorena dei nuovi orari. Poi inizia a prendermi la malinconia della partenza e preferisco isolarmi un po’. Metto gli auricolari e mi ascolto un po’ di musica.
L’aereo inizia a rullare poi si alza e comincio a vedere le casette di legno, i piccoli terreni coltivati, le strade lunghissime e drittissime, i boschi, tutto sempre più piccolo, tanti particolari sempre più piccoli am anche sempre più numerosi, quasi volessero tutti salutarmi e farsi salutare. L’aereo entra nelle nubi e nel iPod parte, per caso, “Non ti dimentico” di Antonella Ruggiero.
Non vedo più la Bielorussia e per la seconda volta crollo a piangere.
Sento la mano di Guancerosse stringere la mia. Rimaniamo un po’ così, senza dirci niente, come succedeva sempre ai rientri dai servizi di Padova, anni fa. A volte davvero le parole sono inutili.
L’aereo atterra a Montichiari, il volo è stato ottimo. All’aeroporto troviamo Ermanno e Vittorio ad aspettarci. Ci vedono entusiasti ma lo sono anche loro che ci hanno seguito passo dopo passo. Foto di rito, un grande abbraccione con Pipetta, infaticabile compagna d’avventura e poi via verso casa.
Un brevissima tappa in autogrill. I miei compagni d’auto sono molto più silenziosi che all’andata ma dopo aver comprato delle marionette all’autogrill si scatena il pandemonio.
Io guido tra i miei pensieri scorrendo velocemente il film di questi quattro giorni.
Ci avviciniamo a casa; adesso ho solo voglia di riabbracciare Lorena e Federico.
A presto, Bielorussia! Grazie.


Condivisione finale.

Come avete visto, questo servizio è iniziato alcuni anni fa con quella “chiamata” che è arrivata così e a cui non pensavo nemmeno che avrei dato seguito.
Aureola ci dice sempre che se siamo qui a fare queste cose è perchè abbiamo risposto ad una chiamata.
Tutto questo mi ha sempre “spaventato”. Cosa mai avrò fatto io di meritevole da essere degno di una chiamata? Dal punto di vista religioso, pur essendo profondamente credente, sono un pessimo praticante e credo proprio che il buon Dio abbia a disposizione persone decisamente migliore cui affidare i suoi progetti. Tuttavia ho sentito qualcosa, sia una chiamata o uno stimolo o solo una fantasia., ma ho risposto e sono orgoglioso di averlo fatto anche se ho dovuto impiegarci tanto tempo.
Probabilmente chi è stato in missione in paesi lontani per diverse settimane starà pensando “non è che hai questa gran cosa…” ed ha ragione. Non volevo fosse una missione e non lo è stata. O forse si. Potrebbe sicuramente diventarlo, se lo vorremmo, noi che ci siamo stati, VIP Friulclaun, VIP Italia. Se ce ne sarà l’occasione ne parleremo.
Noi siamo venuti qui per fare un servizio, siamo venuti per portare un po di gioia. E l’abbiamo fatto. Non solo in ospedale ma in ogni istante della nostra presenza in Bielorussia, alla dogana, al ristorante, per strada, in hotel… sempre, con abiti claun e no, sempre, però, con il naso rosso al collo.
E’ inutile che vi dica che un pezzettino del mio cuore è rimasto là e prima o poi devo tornare a prenderlo. Credo sia così per tutti quando si vivono esperienze come queste.
Auguro a tutti di poterla vivere. In Bielorussia c’è tanto lavoro da fare, sul piano dei bisogni materiali soprattutto, su quelli educativi ancora di più anche perchè le strutture sono quasi tutte governative. Ci sono un paio di missioni di suore e qualche struttura gestita da enti di volontariato.
In Bielorussia poi ci si può andare davvero con poca spesa se ci si organizza per tempo.
Noi abbiamo aperto una strada, se altri vorrano, ora, potranno percorrerla anche se non è detto che sarà sempre così semplice come è stato per noi.
Molti reparti ci sono stati vietati, non abbiamo avuto il permesso per l’ospedale di Mogilev, ci è stata negata la visita anche ad un altro istituto. In sostanza le situazione più “difficili” ci sono state nascoste. Potrebbe essere che in futuro non sia così e credetemi, io che ho avuto modo di sentire testimonianze e vedere foto, potrebbe essere davvero un’esperienza dura.
Infine volevo ringraziare tutti coloro che mi sono stati vicini e che hanno contributo a che questo si realizzasse. Aueola, in primis, perché senza di lei nulla sarebbe successo.
Poi tutti i Friulclaun perché questa esperienza l’hanno voluta quanto me e ci si sono tuffati con il cuore. E’ vero che siamo partiti in nove ma c’eravamo davvero tutti anche se è difficile crederlo. Abbiamo preparato tutto questo, mese dopo mese, tutti assieme ed è stato stupendo.
Infine miei incredibili compagni di viaggio, di avventura e di vita. Un gruppo eccezionale che ha saputo mettersi in gioco non dalla partenza ma da molto prima con una straordinaria umiltà, comprensione e capacità di adattamento.
Grazie per aver scelto di essere immagini di questo grande disegno.
Che Qualcuno ha disegnato per noi e che dobbiamo finire di colorare.
Con Amore.
Namaste

Kamomillo.

sabato 12 maggio 2007

Il primo Post


Benvenuti nel nuovo blog "Clownterapia - Missioni VIP" delle Associazioni VIP ViviamoInPositivo!

Le missioni in Paesi in via di Sviluppo organizzate da VIP sono effettuate esclusivamente da volontari che hanno frequentato la formazione VIP e da operatori-formatori VIP appositamente preparati per eseguire laboratori circensi e di clownterapia in loco.


Puoi trovarci anche:
http://clownincorsia.splinder.com
www.clownterapia.it
www.vip-missioni.org
www.viviamoinpositivo.org

Il questo blog inseriremo i Diari di viaggio delle nostre Missioni.

Il nostro motto: "Uniti per crescere e ridere insieme!"

Valori e principi di VIP ViviamoInPositivo
I valori sono gli elementi che determinano le scelte e azioni dell’individuo e delle collettività. La consapevolezza dei propri valori e del loro ordine di importanza consente di vivere e agire coerentemente. Vogliamo qui definire quali sono i valori che noi, volontari e operatori Vip, riconosciamo e siamo impegnati a perseguire, sostenere e diffondere con il nostro servizio.

ViviamoInPositivo
Affrontare insieme la vita accettandola in ogni suo aspetto.ViviamoInPositivo vuol dire apprendere, realizzare in noi e portare ad altri quanto può aiutare a vivere meglio.

Uniti per crescere (e ridere) insieme
Solo insieme e uniti ci si può confrontare, specchiare negli altri, si impara ad accettare e si è accettati.Un gruppo unito dallo scopo comune di crescere positivamente rappresenta un meraviglioso contenitore dove i talenti, le qualità e le esperienze di ciascuno possono fondersi e divenire alimento per l’evoluzione di tutti. Riconosciamo nel nostro motto gli ideali di Fratellanza, Unione e Solidarietà che sono alla base della nostra motivazione.

Lo spirito clown
Riscoprire il bambino interiore, sviluppare la fantasia, la creatività, la capacità di vedere il positivo delle cose, la gioia, l’armonia, l’apertura, l’accettazione e altre emozioni positive. Sono queste le qualità che ci permettono di diventare “portatori di gioia”, che rendono capaci di trasformare l’atmosfera dei luoghi in cui c'è disagio e di stimolare nelle altre persone gli stessi sentimenti che ci animano.

La formazione
Essere un volontario Vip clown comporta il ricevere una formazione di base uniforme, che ci permette di acquisire la stessa competenza necessaria per il servizio in qualunque parte d’Italia. La nostra formazione continua con un allenamento costante. La formazione che riceviamo parte dal gioco, per agire sulla mente, sul corpo e sullo spirito. Coltiviamo lo spirito clown, sviluppiamo competenze tecniche e artistiche, emozioni positive e qualità come l’accettazione, l’accoglienza la condivisione, l’ascolto, la sintonia. La conoscenza e l’esperienza si moltiplicano quando vengono condivise, ci trasformano e, una volta acquisite, diventano un bagaglio personale che non si può più smarrire.

Il volontariato
Se si considera che Vip è nata per diffondere il più possibile la gioia e il vivere in positivo si comprende come per noi il volontariato abbia un grande valore. Chi opera come volontario clown Vip, oltre al servizio che rende, porta in sé e testimonia gli ideali di Fratellanza, di Solidarietà e di Gratuità e di questi si pone come esempio, trasmettendoli. Per noi essere volontari vuol dire “camminare insieme” rafforzando strada facendo tra noi e verso coloro a cui ci rivolgiamo, la gioia e gli ideali che ci accomunano.

Il servizio clown
Creando un mondo di fantasia il clown trasforma gli ambienti colorandoli e risvegliando in chi incontra la creatività e la speranza necessarie per reagire alla sofferenza, al degrado, alla malattia, alla solitudine. Il servizio clown per noi è un momento di allegria: la nostra missione è portare gioia dove si vive un disagio. Con il nostro personaggio clown diventiamo noi stessi bambini, ci divertiamo, giochiamo, ridiamo, piangiamo, cantiamo e creiamo magie, interagiamo e stabiliamo da subito relazioni amicali.

L’esempio
Qualunque nostro comportamento costituisce sempre un esempio che diamo a chi ci è vicino e questa è una responsabilità, verso noi stessi e gli altri. Quando agiamo come volontari clown Vip e quindi rappresentanti della filosofia “ViviamoInPositivo” ci impegniamo in modo particolare a essere coerenti con essa. Il clown Vip ha la responsabilità di essere un esempio di vita positiva, e in servizio usa un linguaggio positivo, non fuma, non beve alcolici, non assume droghe o quant’altro di non sano, o di nocivo per sé o per gli altri.