mercoledì 27 luglio 2011

Missione PALESTINA 2011

VIP Italia
Missione PALESTINA 2011
Capomissione: Pally Da Torino ( Stefano – Pummarò) , passando per Milano ( Marzia-Ruzzolo, Marco-Morbillo) e Venezia ( Giulia-Mezze Punte, Giuseppe–B_Orazio) ci si rincontra tutti a Roma ( Paola–Pally, Giammarco–Fossetto, Simona - Spring)
21 luglio
La notte prima di partire……nessuno ha sonno …perché dormire se alle 6.00 si parte in aereo? Ultime cose da preparare …ultime domande e risposte da ripassare in vista dell’interrogatorio.
Da Torino ( Stefano – Pummarò) , passando per Milano ( Marzia - Ruzzolo, Marco- Morbillo) e Venezia ( Giulia- Mezze Punte, Giuseppe –B_Orazio) ci si rincontra tutti a Roma ( Paola –Pally, Giammarco –Fossetto, Simona - Spring) al gate. Tutti pronti ….si parte!
Decollo da Roma: ci accompagna un mix di emozione, agitazione, curiosità, preoccupazione…Per non parlare con i vicini abbiamo tutti finto di dormire…( qualcuno si è distinto rispetto agli altri in questa finzione!)
Arrivando sui cieli di Tel Aviv veniamo avvisati che, a causa dell’intenso traffico, dobbiamo sorvolare la zona per svariati minuti. Ruzzolo, che è seduta vicino a Morbillo, si alza per andare in bagno e viene immediatamente fermata con fare duro e preoccupato dall’hostess che le impone di sedersi in quanto “se qualcuno si affianca deve vedere solo le nostre divise verdi”
Atterraggio a Tel Aviv:ci aspettano i controlli, senso di sicurezza alternata a tensione si fanno sentire con sfumature differente tra di noi.
Alcuni di noi vengono fermati lungo il percorso : domande secche e risposte sicure.
Controllo dei passaporti: la storia regge. Ritiro dei bagagli: si esce senza dare nell’occhio , con un immenso entusiasmo che ci vibra dentro…Gerusalemme è vicina: mezz’ora di sherut…primo contatto con la gente del posto contrattazione sul prezzo, alla nostra capomissione si dimostra all’altezza facendoci risparmiare i primi shekel.
Questo viaggio ci ha insegnato che è più sicuro volare in aereo, che sfidare il traffico a bordo di un pulmino israeliano : lo stomaco di Mezze e Morbillo ringrazia, in memoria si associa quello di Pau*. Sguardi incollati al finestrino: i vecchi con una nuova consapevolezza e nuovi occhi legati a sensazioni già vissute, i nuovi affascinati dal rosso, dal grigio, dall’ocra della terra, dal bianco delle case e dall’azzurro del cielo. Ci avventuriamo a piedi in mezzo al caos del traffico disordinato e caotico verso l’ostello accompagnati dagli zaini….ci guardiamo attorno con tanto stupore…troviamo il nostro ostello tra un banco di frutta e verdura..(la scala di accesso funge da scala appunto e pure da mensole per la merce in vendita).
Finalmente CI SIAMO.
Cerchiamo notizie sul pacco che avevamo spedito prima di partire e scopriamo che è ancora fermo in dogana, solo lunedì potrà essere sdoganato..250 nasi sono in ostaggio (sarà perché li abbiamo descritti come palline cave?)
Riceviamo la telefonata di Davide di Operazione Colomba che ci comunica che ci aspettano sabato, perché essendo Shabbat c’è la possibilità di incontrare meno check point. Abbiamo quindi una giornata intera da passare a Gerusalemme. Ci tuffiamo tra i colori e profumi di Gerusalemme Est . La musica ci accompagna con i suoi ritmi orientali. Ruzzolo, Mezze e Spring svaligiano una cartoleria, gli altri cambiano i soldi. Nel frattempo Pally ha un appuntamento galante: davanti alla Porta di Damasco si ri-incontra Ahmad (un clown conosciuto l’anno scorso per caso l’ultimo giorno). E’ una carica esplosiva di energia. Dopo meno di mezz’ora siamo seduti sul divano di casa sua con in mano il nostro primo thè alla menta a parlare della nostra missione con lui e con sua sorella . In maniera naturale improvvisiamo uno spettacolo di magia, giocoleria, clowneria con loro.
E’ stato emozionante vivere l’unione che il naso rosso porta con sé e si nutre di un linguaggio che va al di là dei confini.
La cena prevede falafael dal noto “king of falafael -un venditore ambulante di fronte alla Porta di Damasco. Gerusalemme by night con guide di eccezione ci hanno permesso di scoprire degli scorci molto profondi della città vecchia.
22 luglio
Oggi per gli Arabi è giorno di festa ! Ci dividiamo per gli ultimi acquisti per il materiale da portare in Missione.
Pally , Morbillo, Ruzzolo si perdono tra le vie della città vecchia e del mercato arabo. Pally e Ruzzolo condividono che la sensazione di familiarità di ogni passo che le porta nei negozi, tra la gente, i rumori, i sapori e i profumi caratteristici del suq.
Si, è un sentirsi a casa. Si, è un essere parte di questa terra, un riconoscersi.
Mezze, Pummarò, Fossetto, B_orazio vanno in cerca di una ferramenta. Nella prima chiedono della corda, che non trovano, ma incontrano un commesso ideale che li accompagna in tutte le ferramenta del quartiere alla ricerca di tutto il materiale di cui avevamo bisogno e che alla fine gli fa anche lo sconto su ciò che hanno acquistato da lui.
Tornati in ostello la nostra prima condivisione in” terra di clown”.
Alla fine della condivisione, dal mazzo di carte SIMBOLO, che Pally ha portato, viene estratta la carta LUCE che ci accompagnerà fino alla condivisione successiva.
Prove spettacolo in camera: è bello fare le prove in una camera 3X3 con gli zaini e il materiale sparso, a 40° , senza finestre, alle 14.00!!
Concluse le prove, ci si ributta nella Città vecchia addobbata a festa. E’ venerdi per i cristiani e per gli arabi..
Mezze e Spring hanno il compito di scegliere i libri (in arabo) da portare in dono ai bambini. Questa commissione da luogo ad una serie di incontri emozionali; il primo di questi è in libreria: “No, in West Bank non è possibile un happy end ci risponde con tono desolato Munir quando gli chiediamo di storie a lieto fine e da qui entrano in servizio le due claun, che colorano di sorrisi e speranza quel momento. L’incontro successivo ci regala una profonda condivisione e una tazza di thè nanà (menta). Jahed, un negoziante della città vecchia, ci racconta delle limitazioni imposte alla sua attività commerciale dalla polizia israeliana. Gli è vietato dare visibilità alle magliette che crea lui stesso per esprimere l’esistenza dell’occupazione militare (!), ma le magliette continuano ad essere esposte in strada, soprattutto per informare i pellegrini inconsapevoli, subendo così i continui avvisi di garanzia. Salutando Jahed, sulla nostra strada verso il santo sepolcro, per raggiungere il gruppo, incontriamo 2 giovani militari. D’istinto ci fermiamo per chiedere loro indicazioni stradali (il nostro pretesto per avviare con loro un dialogo). Il loro sorriso come quello di Munir e Jahed ha riempito i nostri cuori. Riuscire a donare a chiunque un sorriso disarma prima di tutto noi stesse.
Ruzzolo. Pummarò, B_orazio, Morbillo, Fossetto, Pally, seguendo la Via Crucis, percorrono un tratto della via dolorosa.
Tappa successiva il MURO del pianto…è un mix di sfumature e contrasti che vengono vissuti in maniera differente da ognuno di noi.
Grandezza, possenza, assenza di colore, “monotonia” di movimenti, forte energia, pace, sguardi bassi, uniformità di abbigliamento, speranza, preghiere, fede…….
Accanto al Muro, il quartiere Ebraico ci mostra le sue vie monocromatiche, pulite, ordinate, con poche finestre, composte, silenziose, senza fiori e piante, con tende bianche e azzurre e tante bandiere israeliane.
Quasi sembra surreale che a pochi metri possano cambiare così tanto i colori, le forme, le sensazioni di ognuno di noi. Una nuova diversità, una nuova conoscenza.
Notiamo come gli Israeliani ortodossi evitano di incontrare i nostri sguardi, camminano quasi tutti con fare determinato, teste basse. Gli incontri sono un esserci senza essere visti.
Espressioni monotone, con pochi sorrisi, anche i bambini….inutilmente cerchiamo di catturare la loro attenzione e di guadagnarci un loro sorriso. Ci chiediamo quando sarà il loro tempo per essere bambini!!
Ritornati nel quartiere mussulmano, Ruzzi e Pally si siedono su una scalinata e osservano due giovani soldati.
Sguardi, emozioni, pensieri, interrogativi, considerazioni prendono forma nelle menti delle due clown. Dopo momenti vissuti individualmente, basta un cenno per ritrovarsi a condividere quanto questa osservazione ha fatto nascere in loro.
Dietro al soldato, il potere di un uomo nella sua fragilità messo al muro dalle catene degli obblighi sociali, politici, culturali.
In quell’attimo ci sentiamo uniti nell’essere parte di una stessa famiglia: quella Umana, l’essere Uomo al di là delle bandiere, dei confini, degli ideali e delle divise che si indossano.
La domanda sorge spontanea ad alta voce: che fare? Lasciamo che lui conosca i nostri pensieri?
La risposta è SI!
I ragazzi seguono basiti i nostri dialoghi e le nostre emergenti idee che alla fine si concretizzano in un messaggio scritto e consegnato da noi a mano al soldato: “Behind the soldier: the power of man and humanity, we observated you, we found it in yourself” “dietro il soldato: il potere dell’uomo e dell’umanità, ti abbiamo osservato e l ‘abbiamo ritrovata in te”….un pezzo di vita condiviso. Lasciamo il soldato perplesso con piccolo foglio in mano e riprendiamo il nostro cammino mentre i ragazzi restano seduti ad osservare.
Ci racconteranno che l’ha condiviso con altri soldati,sorridendo e riponendo poi con cura il foglietto in un taschino vicino al cuore.
Ci ritroviamo tutti insieme alla Basilica del Santo Sepolcro dove ognuno di noi vive nella propria profondità questo luogo che diventa anche un luogo di incontri, con un monaco greco ortodosso che ci racconta la connessione diretta di questo luogo di culto con il paradiso , e con un signore italiano che a piedi partendo da Assisi ha raggiunto Gerusalemme.
Gerusalemme è una città di incontri: due amici di Spring ci invitano a cenare sotto una tenda beduina. Con noi ci sono anche Ahmad e Manar. La cena è una fusione di sapori, profumi, di stili . Un crocevia tra oriente e occidente. Finita la cena si scende a piedi verso Gerusalmme…
Bastano pochi km per conoscersi, aprirsi, confidarsi, ascoltarsi. Due anime mai conosciutesi prima possono sostenersi e donarsi parti di loro stesse con sguardi, gesti, abbracci, dialoghi anche in un breve tragitto. So faraway so close…Oltre il naso rosso, l’umanità di Paola e Manar :amiche di una vita intera. Gli altri con Ahmad godono della brezza serale, caricandosi a vicenda, per questa nuova avventura con corse all’ultimo respiro, chiacchiere , confidenze e nuove complicità.
Ci ritroviamo tutti insieme in ostello a festeggiare Ahmad e il suo amico che oggi hanno ricevuto il diploma della scuola RED NOISES di Bethlemme, ci donano il loro entusiasmo ed energia insegnandoci dei nuovi giochi : BIG BUDDHA, “ C… che si appiccica alla plastica”.
La condivisione della giornata si conclude con la parola DISCIPLINA...Domani sarà un nuovo inizio
23 luglio

Partenza ore 8.00.Gerusalemme si sveglia con noi. Davanti alla Porta di Damasco ci aspetta Davide, un veloce saluto ad Ahmad che ci fa una sorpresa portandoci i 4 nasi che ci serviranno per lo spettacolo. Altra sorpresa è che oggi a Tuwani ci sarà il FESTIVAL DELLA NON VIOLENZA, ci aspettano per il nostro spettacolo. Il viaggio procede velocemente, come da copione nei giorni di Shabbat, non troviamo nessun check point. Breve sosta a Yatta ed eccoci pronti a percorrere l’ultimo tratto di strada che ci separa da Tuwani. Per tutti è un vero tornare, per chi ci è già stato fisicamente e chi con i racconti. Un muretto “WELCOME AT TUWANI” ci accoglie al nostro passaggio. Nomi e foto prendono forma, sorrisi esplodono su volti conosciuti. Saluti “arabi” pieni di emozioni e pregni di entusiasmo ed affetti seppur legati alla tradizione che allontana fisicamente ma avvicina il cuore. Quanta voglia di ESSERCI. Un anno è passato, tanti i preparativi per questo ritorno, numerose le difficoltà superate con successo e, quasi come un sogno, ci troviamo ricatapultati in questa realtà. Arriviamo alla scuola, tutti ci aspettano, entriamo da star … il palco è subito nostro.
Non c’è tempo per pensare, realizzare di essere arrivati, e in un attimo ci ritroviamo con i nostri occhi pieni di lacrime. Lacrime partite dal cuore che per ora non hanno tempo di passare dalla pancia e dalla mente. Siamo già in scena e Morbillo deve spiegare a chi parla solo arabo come mettere le musiche per lo spettacolo. L’emozione è tanta, come gli imprevisti tecnici, ma noi andiamo avanti sostenuti da una platea di tutto rispetto: autorità politiche locali, sceicchi, volontari internazionali e gli spettatori più importanti che naturalmente sono i nostri bambini che si sono illuminati al nostro arrivo correndo a prendere i primi posti sotto il palco.
La platea si riscalda, è forte il coinvolgimento tra noi e chi ci guarda divertito. Dopo lo spettacolo veniamo risucchiati dalla gente vicina, calda accoglienza per i vecchi, curiosità e stupore per i nuovi, ma dopo pochi minuti già riecheggiavano i nostri nomi ed era come se fossimo qui da tempo.
Si riaccendono certe sensazioni, la voglia di toccare questa terra con tutte le sue vite che hanno continuato anche per questo lungo anno a resistere credendo nella NON VIOLENZA. Resistere è creare, creare è resistere… E’ questo resistere si sente ovunque, nei legami che nonostante la distanza sono sempre più saldi , nell’accoglienza della gente, che nonostante i convenienti fa risuonare il cuore. Il canto dei BANS che abbiamo insegnato l’anno scorso delle nostre bambine ci fa capire che il seme è diventato una vera radice e che al di là delle distanze certe realtà si sono trasformate, contaminate, modificate, mescolate, fuse, unite per sempre.
Dopo il pranzo arabo torniamo a casa per il caffè italiano fatto dal nostro “moka boy” (Morbillo) e poi finalmente un po’ di meritato riposo che però viene interrotto da una telefonata esterna: “Si sono visti dei coloni mentre inseguivano i bambini sulla strada”. Le Colombe escono correndo lasciandoci con i nostri pensieri,veniamo immediatamente proiettati nella realtà vissuta lo scorso anno…tutto può cambiare da un momento all’altro. Ci diranno che, fortunatamente, si è trattato di un falso allarme.
Presto la nostra attenzione è stata richiamata dai bambini del villaggio che dalla collina dietro casa hanno liberato in cielo i loro aquiloni in direzione della colonia e ci hanno regalato uno splendido spettacolo ricco di colori. Dalla colonia vediamo uscire svariati coloni e ci chiediamo quale può essere la loro reazione all’azione in atto.
E dopo un po’ un regalo inaspettato, dalla colonia si alza in volo un aquilone.
Una silenziosa risposta ai giochi dei bambini di Tuwani.
Poi di nuovo a casa per le notizie tecniche con Hafez, che seduto a terra a noi condivide la cena..è un grandissimo onore godere della sua presenza, dei suoi racconti e dei suoi sorrisi..se non fosse per il l’inglese di b_Orazio definito “amazing” da Afez.
Ci addormentiamo sotto le stelle coperte dalle nuvole. Ma dormire all’addiaccio immersi in questo presepe è una meraviglia. Sogni d’oro per tutti. Carta della giornata: Creatività!
24 luglio
Il programma di oggi prevedeva la visita ad Infagara, un villaggio vicino a Tuwani. Siamo già carichi e pronti per partire, quando le Colombe ci informano che il programma è cambiato perchè proprio stamattina è morta una signora del posto. In 5 minuti riorganizziamo la giornata…in Missione è sempre cosi…non è raro che ci si debba riorganizzare in tempi rapidi.
Le cose cambiano: per le strade di Tuwani city è veramente bello osservare tutti i maschi del villaggio uniti a costruire i muretti…i muretti servono da sostegno per i pali della luce..Già la luce, quante cose ha già cambiato..anche il cielo stellato si ribella!
Decostruire-costruire questo è il ritmo e la filosofia di vita di questo villaggio.. è bello vedere questo continuo divenire. I primi grandi cambiamenti sono subito visibili quando al nostro passaggio tutti gli uomini alzano lo sguardo incrociando i nostri occhi pronti a salutarci.
Improvvisiamo alcuni giochi davanti alla nostra casa con alcuni bambini, che poco dopo si lasciano trascinare dalla corda al ritmo di BELLA CIAO per raggiunge la scuola. Rimaniamo a fissare per un secondo il tendone che è caduto, il solleone è li pronto ad arrostirci ben bene. C’è solo una soluzione da prendere: arrampicarci per risistemare il tendone! Ecco che lo Sportivissimo Morbillo tenta di arrampicarsi, riuscendoci ma perdendo una scarpa lungo il percorso, mentre gli spider children palestinesi sono già sul tetto dopo aver fatto il triplo salto mortale! Dall’altra parte la forzuta Ruzzolo tiene una corda che ha ricevuto dal free-climb Mohammed ( pupillo di Pau*) che coraggiosamente si è arrampicato sulla rete trascinandosi il peso del telo che ora sta tagliando la mano a Ruzzolo…ma ecco arrivare in aiuto un altro ragazzo e BOrazio.
Carotino, insieme alla pigmea Pally, tenta di sollevare il telo con il manico della scopa. Risultato finale: Tendone Montato. Veramente straordinario vedere la collaborazione creatasi spontaneamente tra i bambini e i clown in questo obiettivo comune. Senza i bambini questo piccolo sogno non sarebbe stato possibile. Quanto c’è da imparare da loro!Anche Francesco di Operazione Colomba, appena arrivato alla scuola, ci fa i complimenti per la nostra straordinaria capacità di adattarci a tutte le difficoltà sempre con il sorriso e di essere pronti al cambiamento.
E ora finalmente alla tanto meritata ombra il via ai BANS , ai giochi di gruppo, allo yoga della risata, in cui abbiamo coinvolto anche Francesco. E’ stato molto bello vedere l’indifferenza dei più grandi che si è trasformata a mano a mano in qualcosa di coinvolgente che stimolava risate profonde. Una maggiore conferma tangibile è stato vedere successivamente il ridere a crepa pelle dei bambini lungo la strada mentre rifacevano gli esercizi proposti con entusiasmo e coraggio da Spring, che lo faceva per la prima volta con dei bambini. Grande soddisfazione personale e di gruppo. Si incominciano a vedere delle reti profonde che si rinsaldano day by day.
Accogliamo con piacere l’invito a pranzo a casa di uno dei fratelli Rabai .Questo evento è uno dei segni di questo cambiamento:abbiamo la sensazione che la gente di qui non ci considera più dei semplici “ ajaneb” (stranieri), ma parte di questa comunità.
Il pomeriggio abbiamo l’immenso piacere di partecipare ad un incontro con Luisa Morgantini, attivista per i diritti dei Palestinesi, che con una delegazione di 50 persone è in visita a Tuwani. La stessa Luisa, che ha avuto la fortuna di conoscere Spring precedentemente, ci presenta con enfasi , entusiasmo e onore davanti a tutti. Siamo molto colpiti da questa sua accoglienza, dai suoi profondi abbracci come se ci conoscessimo da tempo, come se ci fosse già un profondo vincolo che ci legava….
Raggiungiamo insieme agli altri l’Albero dove Hafetz racconta la storia di Tuwani ai visitatori…Ogni volta è come se l’ascoltassimo per la prima volta. Fortissime le emozioni che sa trasmettere con la sua semplicità e umiltà. Visto la dolcezza ed apertura di Luisa , decidiamo di fare lo spettacolo proprio davanti all’Albero, sulle rocce e la terra che lo circonda…la nostra sola musica è il VENTO…
C’è silenzio intorno, un silenzio che Ascolta…ascolta i nostri cuori che vibrano mentre il muro si trasforma in ponte !
L’energia trasmessa viene amplificata dalla forza del luogo e dalla protezione dell’Albero che domina la collina.
Tra due giorni termineranno i due anni di permanenza di Francesco in questo territorio, abbiamo pensato quindi di regalargli un momento di intimità e gratitudine tra di noi.
La tarda serata si conclude con l’organic uva che offre Hafetz ai cinque nottambuli ( Mezze, Pally, Ruzzolo, Morbillo e Fossetto). Fin da subito ci colpisce la sua familiarità nei nostri confronti e notiamo come sono molto più dirette le comunicazioni con lui ( per interposta persona), la scioltezza con la quale ci relazioniamo e gli poniamo domande. Sentiamo la trasparenza e l’emozione con cui risponde e racconta di vissuti personali e di vissuti collettivi. Uno dei racconti più toccanti, per tutti noi, è stato quello inerente all’aggressione subito dalla mamma da parte dei Coloni e dalla successiva decisione di abbracciare la RESISTENZA NON VIOLENTA.. Lì abbiamo proprio toccato con mano i sentimenti dell’Hafetz uomo, figlio, marito, padre, leader e anima della NON VIOLENZA.
Tra le varie domande gli chiediamo come reagiscono i suoi figli e i bambini a questa sua situazione, nonostante le continue aggressioni e atti di violenza che subiscono giornalmente. Ci risponde che anche i suoi figli aspettano la fine di questo conflitto e il momento in cui i coloni lasceranno questa terra. Ci racconta anche della rabbia, aggressività ( anche nei giochi) di alcuni bambini e della sua straordinaria capacità di sdrammatizzare certi eventi facendo capire loro così che certe cose non andrebbero fatte..Changing is happening!Carta della giornata: Entusiasmo !
25 luglio
Tuwani si risveglia molto presto..Rumori di ogni genere riecheggiano alle prime luci dell’alba. Il piccolo presepe è illuminato di nuove energie…un nuovo giorno è all’orizzonte.
Quest’anno non c’è un formale Summer Camp ma ci saranno momenti alla scuola organizzati di giorno in giorno. E’ per questo che ci dividiamo per le due strade che raggiungono la scuola chiamando i bambini che senza esitare ci raggiungono per seguirci. Ci sentiamo come dei veri e propri pifferai magici..
Ci riscaldiamo con bans che divertono i bambini e anche noi..Pummarò quando li propone emana luce.
Laboratorio time:
  • Fossetto, b_Orazio, Morbillo, Pummarò, MezzePunte, Spring radunano i bambini in un’aula per dar vita ad un momento magico. Carotino, il figlio di Hafez, si rende disponibile a tradurre e ad aiutarci per gestire i bambini, quindi in un attimo ci ritroviamo a colorare i loro piedi nudi con vivaci tempere e a suon di musica poi tutti a ballare su un grande quadrato di carta bianco. Il coinvolgimento dei bambini è totale, dal solletico del pennello, alla sorpresa di vedere la forma del proprio piede, e infine per la gioia di vedere il telo riempirsi a passi di danza. Hussein lascia gli stampi a ritmo di dapka e i suoi sorrisi e la voglia di giocare entrano in contrasto con l’immagine del piccolo grande uomo responsabile che porta al pascolo le greggi e che aiuta il padre. La richiesta di Hahim di colorare insieme a Spring con mani e pennelli il pezzo di quadro, l’ha emozionata perché il bambino ha voluto che entrambi firmassero il loro momento creativo condiviso in amicizia. Durante le attività alcuni bambini, che interagiscono in modo violento, mettono alla prova b_orazio che cerca soluzioni non violente..una stretta di mano un po’ forzata vale per la pace!
  • Pally e Ruzzolo sono impegnate nel laboratorio delle donne. Molto emozionante è l’arrivo delle ragazze grandi che l’anno scorso non hanno partecipato ai nostri laboratori e che ci sono venute a trovare per giocare ed imparare nuove cose da riproporre al Summer Camp.
Siamo partite da giochi di lieve contatto molto giocoso ed esplorazione del corpo, per poi arrivare a giochi più intensi. E’ bastato solo riunirci per dare vita ad una energia magica di un cerchio femminile: intimo, materno, di complicità .Nel proporre i giochi osserviamo la difficoltà di entrare in contatto con alcune parti del corpo ( esempio baciare la mano) anche se il contatto avveniva in modo giocoso. Dedichiamo la seconda parte dell’incontro alla creatività dando vita ad una pillola di origami , constatando l’impegno e la voglia di realizzare qualcosa insieme. In particolare siamo emozionate di essere fianco a fianco e collaborare con Samea , per noi ragazza simbolo della resistenza di tuwani.( si può vedere sul blog …. L’immagine di lei che mette la mano davanti al viso dei soldati per andare a liberare un uomo del villaggio).
Siamo estremamente onorati di essere ospiti a pranzo da Kiffa che abbiamo già incontrato ieri durante il tour della delegazione della Morgantini presso la Comunità delle donne.
Il pranzo è molto informale tanto che Mezze e Pally mangiano con le mani nello stesso piatto con Kiffa e Ruzzolo con Nessar ( marito di Kiffa).
Già da ieri pomeriggio abbiamo sentito nei caldi abbracci di Kiffa la sua riconoscenza e l’affetto .
La sensazione che si prova per chi è ritornato a Tuwani anche quest’anno, è che alla conoscenza si sia aggiunto un anello più significativo che è la stima profonda e una familiarità che risuonano nelle sue parole: The power of women !
Nel primo pomeriggio Ahmad ci raggiunge a Tuwani. Riconoscendolo come uno di loro, i due piccoli teppisti si trasformano in body guard e accompagnano Ahmad alla nostra porta. Lui può muoversi in West Bank senza problemi, grazie alla carta blu ( carta di riconoscimento) riservata solo agli abitanti di Gerusalemme a differenza del resto dei palestinesi, con la carta verde, che per muoversi verso Israele – Gerusalemme Est hanno bisogno di permessi. Gaza invece rimane incessabile sia in entrata che in uscita.
Per tutto il gruppo Ahmad a Tuwani rappresenta il fil rouge,la concretizzazione di un desiderio collettivo, e la consapevolezza di essere stati strumento di questo ponte che darà i suoi frutti nel tempo. INSHALLAH!
In particolare Pally si emoziona durante la chiacchierata con Ahmad all’albero. Un sogno che si realizza! Pally : “Pensare che solo un anno fa, mentre salutavo Ahmad a Gerusalemme pensavo come sarebbe stato bello creare un network tra la gente di Tuwani e questo piccolo clown del circo di Ramallah ..e ora ci troviamo sotto le ombre del papà albero, circondati da una brezza che si diffonde sulla collina, davanti a noi Tuwani, dietro la colonia e gli avamposti . Discorsi sulla voglia di costruire nuovi sogni e nuovi progetti insieme. Voglia di stare insieme e di condividere gli stessi valori… il naso rosso è una forza incredibile capace di unire i continenti, trova radici salde e positive anche tra terre martoriate da dolori profondi, semina ovunque grandi momenti di speranza e di luce.Mi perdo nei sogni di Ahmad che continua a dirmi quanto sia difficile essere un arabo in terra israeliana, di come i suoi diritti siano stati molto spesso negativi e calpestati e di come il naso rosso sia diventato il suo unico strumento di salvezza nel lavoro e nella vita. E cosi che mi propone un progetto non solo di clown terapia da fare a tuwani, ma un progetto sanitario da realizzare per fornire un equipe medica al villaggio”.
Nel frattempo il resto del gruppo si divertiva davanti allo spettacolo di magia di b_orazio dedicato a Francesco.
Ci dirigiamo verso la scuola ci aspettano i marmocchi pronti a giocare insieme a noi e con grande sorpresa sarà un arabo, Ahmad, a proporre loro giochi e canzoni.
Appena arrivati un bambino ci avvisa che ci sono i soldati nel villaggio pronti a fare il check point all’ingresso.
Ahmad è riuscito subito a conquistarli e ad ammaliarli .Una nostra grande sorpresa è stata vedere una coppia con una piccola bimba assistere al nostro incontro, in quanto si tratta di una famiglia che l’anno scorso non ha mai dimostrato interesse e partecipazione alle nostre attività. Ci riferiamo ad una famiglia delle Case Proibite ( chi c’era l’anno scorso può capire!). In battuta successiva sono andati a chiamare tutti i loro figli , tra cui uno dei figli da noi chiamato il Puffo (pupillo di Luddidù)..gli anni passano Puffo non cambia.
Ahmad è molto affettuoso nei suoi modi e gesti verso di noi, peccato che a Tuwani bisogna rispettare regole: uomini e donne non si abbracciano in pubblico.
In vista di queste sue continue distrazioni abbiamo trovato una canzoncina adatta a lui :
Le mani mettile giù, mettile giù ,mettile giù, e le mani mettile giù, mettile giù e non lo fare mai più!
Tornando a casa abbiamo visto la macchina della polizia che gironzolava per tuwani…una bella corsa verso casa non per dare troppo nell’occhio, secondo le regole israeliane potrebbero farci storie visto che ci troviamo in area C. Incrociamo le Colombe che correndo stanno andando verso l’albero, sono state chiamate perché sembra che ci sia un colono in prossimità del villaggio. Noi dalla casa vediamo il muoversi dell’individuo mentre il resto del villaggio si avvicina verso la collina. Alla fine era un beduino palestinese che ha visto la polizia , si è spaventato e ha deciso di nascondersi tra gli alberi del boschetto di Havat Maon, senza sapere che si trattava di una colonia. Increbile questa cosa non era mia successa prima!
Il cielo si riempie di stelle, ci prepariamo a festeggiare la fine della missione di Francesco alla vigilia dela sua partenza ….siamo emozionati per lui!
Mentre ci dirigiamo verso la casa di Jamila ci fanno compagnia lungo la salita, la polizia che a passo d’uomo osserva bene quanti siamo e come sono le nostre facce.
La casa è abbarbicata sulla bella collina che ci permette di vedere bene la colonia di Maon tutta illuminata. Che differenza! Sembra un albero di natale con mille luci, ci si stringe il cuore solo a pensare all’agio e le risorse da una parte, che esistono nell’illegalità, e la mancanza di libertà e l’essenzialità dall’altra. Tetti rossi e illuminazione arancione colorano tutte le colonie in modo uguale per essere ben riconoscibili anche dall’alto in caso di operazioni militari!
Come la tradizione vuole, ci dividiamo tra uomini e donne e godiamo della compagnia di Hafetz , Kiffa, Nasser, Bahra, Samea, diversi fratelli Rabai ed altri. Si canta tutti insieme Bella CIAO , la uale viene tradotta anche in arabo a tutti i presenti.
Ci colpisce questo immenso affetto manifestato non solo con gesti, ma con sguardi, parole toccanti di gratitudine e riconoscimento nei confronti di Francesco. Tutto questo ci permette di vedere delle sfumature mai incontrate prima di questa comunità. Hafetz si complimenta con tutto il lavoro che in questi anni le Colombe ( tra cui Fabio ed Eleonora ) hanno svolto per sostenere e per favorire il cambiamento della comunità.
ONE DAY ONE GOAL. La carta della giornata: Vigilanza !
26 luglio
Oggi prima volta fuori da Tuwani. Mentre aspettiamo il pulmino vediamo la berta ( la mamma di Hafez) che incita gli uomini a lavorare con più impegno e costanza per la costruzione dei muretti..
sulla sua faccia si legge l’espressione : “ Non ci sono più gli uomini di una volta! “
Oggi si va a susya, un villaggio che ha subito svariate distruzioni e attacchi.
Solo dieci minuti di pulmino. Il nostro autista Jamal è l’unico ad avere i permessi necessari a percorrere queste strade. I nostri nasi sono incollati al finestrino mentre si percorre la bypass road e ci ritroviamo di fronte ad una realtà inaspettata: il villaggio si presenta come un insieme di tende sparse. Ci sono già un paio di bambini ad accoglierci e subito, accompagnati dal loro insegnante di inglese, raggiungiamo la scuola attraversando campi aridi e alberi di olivi. Un edificio di mattoni coperto da un telo. Mentre visitiamo l’aula appaiono dal nulla una cinquantina di bambini con i quali improvvisiamo alcuni bans e giochi e ci prepariamo per l’ennesima versione del nostro spettacolo che ha luogo questa volta sotto un sole cocente nel deserto della Galilea di fronte a bambini entusiasti e rispettosi che interagiscono splendidamente nelle gag e nel finale dello spettacolo. successivamente alcuni di noi si sono intrattenuti con i bambini nel piazzale della scuola, mentre altri nell’aula hanno cominciato a raccogliere i messaggi da mettere nella nostra bottiglia per il progetto che abbiamo pensato message in the bottle . Un biglietto colorato si distingue tra tutti per esigenza di spazio, la lunga frase che ci vuole lasciare l’insegnante è la speranza di vederci tornare e magari di organizzare il summer camp l’anno prossimo.
Notiamo l’attenzione, l’amore, la cura con cui questo insegnante si relaziona con i bambini.
Ci salutiamo in cerchio, e dopo un tè caldo alla menta siamo di nuovo sul furgone di ritorno con impressi uno a uno i volti dei bambini di susya.
Una volta tornati a Tuwani Fossetto e Pummarò, dirigendosi verso il negozio per comprare dell’acqua, si ritrovano in mezzo ad un inseguimento. Due uomini armati di piccone e coltello scendono correndo verso di loro. Colti di sorpresa i due claun si scansano. Uno degli uomini, lo stesso che il giorno prima aveva seguito e portato i suoi bambini al nostro incontro, riconoscendoli, fa loro cenno di rimanere tranquilli, continuando a correre.
Morbillo segue la scena da pochi metri di distanza.
Questa è la realtà che si vive a Tuwani; si passa da momenti di apparente tranquillità ad altri di tensione anche se, in questo caso, l’essere stati riconosciuti e protetti ci ha fatto capire quanto sia importante per loro la nostra missione.
I tre claun vengono subito dopo invitati dai CPT (Chritian Pacemaker Team) per prendere un thè.
Oggi nel villaggio sono arrivati soldati e polizia. Sostenendo di dover fare degli scavi archeologici in quanto potrebbero esserci reperti ebraici, bloccano la strada, si recano nella casa di chi ha la gru, se ne appropriano, fanno salire un uomo palestinese e lo fanno scavare.
Il clima nel paese cambia, si vive il sopruso, l’appropriazione, l’esproprio, con grande dignità gli uomini del villaggio si riuniscono senza farsi annientare. si respira umiliazione e dignità, paura e coraggio, impotenza nel fare valere i propri diritti sulla propria terra e una grande resistenza nel perseguire il riconoscimento della propria identità.
La motivazione degli scavi archeologici, ci raccontano, comporta seri rischi in quanto, qualora realmente venissero trovati reperti ebraici, ci potrebbe essere una chiusura del territorio e addirittura un esproprio della terra.
E ancora può capitare che qualcuno metta casualmente una moneta ebraica o altro, magari dietro pagamento, il che porterebbe agli stessi risultati.
L’argomento è delicato e sottile, non abbiamo la pretesa di dare risposte, per noi è importante informare di quanto vediamo, di ciò di cui siamo testimoni e riferiamo quanto sentiamo dire in questa terra…testimonianze di vita e racconti di persone.
Nel tardo pomeriggio per alcuni claun rimasti a casa è davvero sorprendente il suono delle risate e delle urla di gioco che dalla scuola si diffondono in tutto il villaggio. Non pensavamo si sentisse così tanto, ed è veramente bello che un po’ di chiasso positivo faccia da colonna sonora in questo villaggio, soprattutto dopo una giornata di tensioni.
Ponendoci il dubbio di essere troppo chiassosi, chiediamo direttamente ad Hafez se il nostro modo di fare è eccessivamente esuberante e puo’ disturbare la quiete del villaggio, lui ci risponde di no, che tutti anno che stiamo giocando con i bambini e va bene cosi’.
In serata, mentre siamo seduti a scrivere la condivisione, è un piacere essere interrotti da Hafez che dice di avere un assoluto bisogno di un caffè italiano. E’ forte l’idea del servizio e del reciproco esserne strumenti. Da entrambe le parti vi è massimo rispetto, l’immagine che ci viene è quella di essere dita diverse di una unica mano.
Durante gli incontri che abbiamo con Hafez parliamo di tanti aspetti: dalla situazione palestinese, ai suoi progetti di collaborazione e relazioni, ai successi già ottenuti, ai prossimi passi da compiere, alla storia dei villaggi che visitiamo e di alcune colonie, alle paure e speranze, ai racconti di vita personale, alle emozioni di lui come uomo, come padre, alle relazioni familiari… conclude con “ quando tornerete…” si guarda già al futuro!
Il cielo stellato ci accoglie per una breve e serena notte.
La carta della giornata:Rinnovamento!
27 luglio

Oggi si parte per il villaggio di Umalkher.
Ci colpisce al nostro arrivo la minima distanza che separa gli abitanti del campo beduino dall’insediamento israeliano di Karmel: il confine è “semplicemente” dato da una rete con un filo spinato.
Ad accoglierci il signore Halid che con entusiasmo ci invita sotto il tendone per bere insieme al padre e ai suoi fratelli del buon thè alla menta. Ci intratteniamo con discorsi prima sull’accampamento, la sua storia, le tradizioni, sulle difficoltà di vivere nei territori occupati ed in particolare in terra che confina con l’insediamento. Ci ha raccontato di tutte le forme di privazione e di esercitazione del potere nei loro confronti, ad esempio, poiché sono dipendenti dalla colonia per acqua e luce, capita che non possano programmare quando vi è il rifornimento di queste.
Può succedere che, durante la lettura di un libro, arrivi un colono, sequestri il libro e stacchi la corrente. Questo è uno dei soprusi a cui sono sottoposti giornalmente gli abitanti del luogo. Questo e altre situazioni rendono difficile, talvolta impossibile, lo sviluppo del villaggio e la frequenza scolastica, sono tantissimi infatti i bambini che non sanno scrivere.
Ci fa presente quanto sia difficile continuare a muoversi per i territori e quindi anche per questo sono veramente poche le persone che hanno un accesso all’ università e ai posti di lavoro, visto la difficoltà nel raggiungerli.
Tra l’altro viene loro detto che non gli daranno luce ed acqua per evitare che possano stabilirsi li definitivamente (in realtà già lo sono, almeno fino a quando non viene tutto distrutto visto l’avanzamento continuo delle colonie).
In mezzo al villaggio passa una strada costruita e utilizzata dai coloni che separa le tende dal parco giochi.
Lungo la strada Halid ci fa notare che passa un tubo di plastica rigido che trasporta l’acqua e un altro di corrente elettrica. Non gli è stato permesso, anzi vietato categoricamente, di interrare il tubo dell’acqua, di conseguenza ogni giorno al passaggio delle macchine dei coloni i tubi subiscono una costante pressione che porta al loro deterioramento. Per questo si ritrovano a cambiare di frequente il tubo dell’acqua e anche quello della corrente elettrica, in questo caso con l’aggravante di poter subire conseguenze pericolose.
Da lontano vediamo due porte del campo di calcio, ci dicono che i bambini ormai non vanno più a giocare li , in quanto costantemente insultati e maltrattati.
E’ impressionante vedere a 50 metri un cancello giallo, confine dell’insediamento da cui parte l’espansione dell’avamposto seguendo assurde o estremamente logiche strategie (dipende dal punto di vista).
Come una piovra l’avamposto ogni anno si estende risucchiando centimetri e centimetri di terra ai propri vicini.
Ovviamente di fronte a tale situazione è difficile poter dire qualcosa…rimaniamo solo ad ascoltare le nostre emozioni. Tanti sono i pensieri che ci toccano: l’immagine dell’utilizzo di un oggetto, il “filo spinato”, simbolo della persecuzione subita in passato da questo popolo, oggi simbolo di sicurezza, protezione, certezza.. vale la legge del ritorno.
Ci ha colpito l’immagine di un uccellino che trovandosi nell’insediamento , è volato via oltrepassando il filo spinato spingendosi verso l’accampamento dopo essersi fermato per qualche istante sul filo spinato. E’ bello vedere il suo poter oltrepassare …
Con i bambini ci siamo divertiti a fare un mini spettacolo di giocoleria, magia sotto una tenda pari ad una pally e mezze…sono tutti pigmei qui. I ragazzi si sono cimentati nell’acrobatica mentre le ragazze giocavano e intrattenevano le bambine in poco tempo vere e proprie piramidi umane era ben visibili ai nostri occhi.
Al nostro ritorno veniamo informati che i CPT, che stamattina sono venuti da noi prima di andare a fare accompagnamento ad un pastore, sono stati attaccati da alcuni coloni.
Tale episodio suscita in tutti noi riflessioni ed emozioni e ci mette ancora una volta in contatto con la realtà ordinaria e quotidiana di questi luoghi.
Troviamo comunque la voglia di incontrare i nostri bambini per passare il tardo pomeriggio insieme.
Anche stasera siamo invitati a cena…cena panoramica sul terrazzo di Hafez in compagnia della sua famiglia e delle Colombe, una in più a partire da oggi (Marco).
La carta della giornata è energia.
28 luglio
stanotte alcune camionette dei soldati hanno attraversato il villaggio ….qui la chiamano normalità.
La sveglia delle 06.30 è seguita dall’ingresso di un blindato nel nostro villaggio.
Carichiamo la macchina di Hafez e siamo pronti a partire per Mufaghara.
Le ragazze in macchina, i ragazzi a piedi. Lungo la strada è ben visibile a sinistra l’avamposto di Havat Maon. sappiamo che non passiamo inosservati, anche per questo il passo dei boys è deciso e veloce. Un attimo di paura quando si vedono venire incontro un uomo..chi sarà? Niente paura è un palestinese.….impensabile usare le infradito in queste occasioni.
Arriviamo nel villaggio e veniamo accolti da Hussein, giovane guida , unica persona che parla un po’ di inglese.
Il villaggio è abbarbicato su una valle in pieno deserto della Giudea, è raggiungibile solo dalla strada palestinese. E’ caratterizzato da una decina di tende e grotte. Hafez ci dice che è un villaggio tipico di questa area e che non è risparmiato dalle pressioni dei coloni del vicino insediamento.
Incominciamo a farci un’idea su varie tipologie di villaggio della south Hebron hill, infatti i villaggi da noi visitati hanno diverse affinità tra cui l’essere in posizioni vulnerabili, tuttavia sono evidenti delle differenze e peculiarità .
Veniamo invitati a sederci nella tenda, i ragazzi che ci accolgono vanno a chiamare una donna del luogo che noi pensiamo possa essere la saggia del paese visto il suo portamento. Stavolta ce la dobbiamo cavare da soli, la fiducia è tale che le Colombe ci hanno dato il permesso di andare da soli.
Ci offrono subito dell’acqua del pozzo , per noi è un grande problema.. chi si sacrificherà dopo 40 minuti di camminata sotto il sole assumendosi il rischio di una dissenteria?? Sorseggiamo tutti, evitando di bere.
L’arrivo silenzioso dei bambini fa nascere un sorriso sui nostri volti in quanto riconosciamo tra di loro alcuni visi conosciuti l’anno scorso e altri incontrati quest’anno al festival della resistenza non violenza. Via con lo spettacolo, anche questa volta rivisto ma sempre emozionante.
segue una mattinata di giochi , bans e grande divertimento , dentro e fuori alla tenda.
Il paracadute colora la collina nel deserto sulla quale ci troviamo…dietro di noi c’è l’avamposto che ci osserva, sicuramente sanno già che ci siamo (non sappiamo se è un caso, ma appena arrivati al villaggio abbiamo visto una camionetta e movimenti strani di macchine).
Un evento che ci ha fatto sentire parte di questa comunità è stato vissuto in prima persona da Morbillo il quale, dopo essere stato truccato da più bambini, è stato portato all’esterno della tenda e letteralmente innaffiato, asciugato, pulito da Hussein e altri ragazzi.
B_orazio e Fossetto vengono invitati da alcuni bambini a seguirli a vedere le loro case. I bambini , con orgoglio fanno vedere ai claun le loro ricchezze quali la parabola, il pozzo, i cani al guinzaglio.
Guardando il panorama i bambini indicano l’avamposto e fanno dei gesti che simulano un mitra che spara.
Alcune bambine, protette da un telo sorretto da noi, ci mostrano delle performance acrobatiche isolate dal resto della tenda. sono pronte ad interrompersi appena sentono dei passi avvicinarsi, potrebbe essere un maschio.
La gente che ha assistito allo spettacolo ha avuto la possibilità di registrarci e rivederci grazie al telefonino. Ci soffermiamo sull’idea di co-esistenza tra l’essenzialità del posto e la tecnologia .
Con la gratitudine che caratterizza questa gente, ci offrono il pranzo, impossibile rifiutarlo!
osserviamo che non appena ci alziamo , i bambini vanno a mangiare…il che ci conferma la regola locale la necessità di avanzare il cibo.
Anche qui ci chiedono di tornare!
Per il ritorno a casa chi va a piedi fa la strada più breve seguendo Carotino cosi da ridurre l’esposizione ai coloni. I claun lungo la strada si godono il silenzio, monitorando eventuali presenze a destra, a sinistra e dietro. Abbiamo alternato i ritmi di camminata dettati dalla conoscenza del luogo e dalla esperienza della nostra guida. Questo breve viaggio ci ha fatto riflettere ancora una volta sui disagi, condizionamenti e limitazioni a cui sono sottoposti i palestinesi nelle normali attività quotidiane.
Le attività pomeridiane a Tuwani proseguono anche oggi, ma con qualche difficoltà, in quanto il campetto viene invaso dagli adolescenti, che arrivati alla scuola, finito il lavoro, decidono di iniziare una partita di calcio okkupando il cortile. L’arrivo di una pallonata ci fa capire che è tempo di allontanarci e di spostarci sulle scalette della scuola. Ridotto lo spazio le energie sono aumentate e sommate.
Giornata movimentata, difficoltà a gestire il gruppo e le dinamiche.
Gli adolescenti hanno fatto la conoscenza dei 4 claun maschi. Fossetto , Pummarò, B-orazio sono scesi in campo per riscaldarsi in previsione del partitone previsto per domani per riscattare la clamorosa sconfitta di 10 a 1 dello scoro anno persa dai claun .
Serata a casa di Hafez, stavolta a condividere la cena c’era anche la moglie….ci sentiamo a casa.
La carta del giorno : comprensione.

29 luglio
E’ “jum’ah”, il venerdì dedicato dagli arabi alla preghiera, un giorno di non lavoro. Il silenzio del villaggio ci risveglia con stupore. “The key of the school is in Yatta; a teacher has it.” ci dice il figlio di Kiffa, quando ci dirigiamo verso la scuola. Il tempo di riorganizzarci e le chiavi appaiono come per magia dal nostro angelo arancione, Carotino, ma il tempo oggi è ridotto, quindi niente laboratori ma giochi in cortile tutti assieme, grandi, piccoli, maschi e femmine.
Negli occhi dei bambini lo stupore ha lasciato spazio alla gioia dell’incontro, il loro entusiasmo fa da guida nei bans. Intonano i canti e noi li seguiamo, il nostro Pummarò rimane cosi senza lavoro: gli allievi hanno superato il maestro! Ci accompagnano lu ragnu elvira, l’ippodromo, auanagana, sciusciusciai, oh Alele, Jack è in cucina con Tina, scudignu piu.
Molti giochi vengono ripetuti, ma il piccolo gruppo energico di stamattina stimola Ruzzolo, spring e B_orazio a proporre cose nuove. Molto particolare è stato riuscire ad esprimere ed amplificare in cerchio le emozioni..
B_orazio propone un gioco nuovo, la spiegazione è un piccolo show che fa ridere soprattutto noi, consapevoli di quello che realmente dice. Ma la complicità è talmente alta che B_orazio resta vittima del suo gioco, e si ritrova in mezzo al cerchio contro una squadra compatta.
Il gioco della bottiglia, quello 1-2-3 stella sono re-interpretati con massima libertà, con pudore si ride. Nel cortile ci rendiamo conto dei legami che si creano, infatti, senza parlarci, riusciamo a dividerci e ad essere più attenti anche ai bambini “fuori dal cerchio”; riusciamo ad intervenire in modo efficace nei battibecchi tra di loro. Nel pomeriggio ci dedichiamo alla creatività, nella scuola di Tuwani bottiglie di plastica diventano fiori e pesci.
sebbene quet’anno a Tuwani non siamo presenti tutti i giorni con un gruppo fisso e un piano con obiettivi specifici e condivisi, ad esempio un cammino che segue quanto iniziato l’anno scorso sia con i ragazzi sia con le ragazze, i giochi e i laboratori, oltre che divertire, permettono di lavorare su diversi aspetti.
Ad esempio le attività creative non si esauriscono nel passaggio di una tecnica, ma permettono sia alla nostra parte bambina sia alla nostra parte adulta di esprimersi, di aumentare il nostro cerchio di fiducia uscendo quindi dalle nostre zone di confort intendendo con questa espressione tutte quelle situazioni in cui “ci sentiamo bene, a nostro agio”..la creatività infatti ci permette di sperimentare nuove modalità di lavoro, dà espressione alla nostra curiosità, ci invita a trovare modi alternativi di fare le cose, non a caso si parla anche di “gestione creativa dei conflitti”.
Ci sistemiamo cosi’ in un aula per lasciare il cortile libero ai calciatori. Pumma, Fossetto, Morbillo, Lorenzo e Marco delle Colombe si sentono infatti in dovere di ottenere una rivincita dopo la ormai goliardica famosa sconfitta dell’anno scorso. Quindi indossate le scarpe delle grandi occasioni e disposti con un classico 1-2-1 da trasferta hanno dato spettacolo nel gremito stadio olimpico di Tuwani.
Di fronte ad una squadra di riserve locali anche quest’anno i nostri eroi hanno perso, ma con onore!
Questa partita ha rappresentato la prima possibilità di incontro tra i nostri ragazzi e gli adolescenti del luogo dando vita a complicità maschili e regalando importanti comunicazioni non verbali che mettono tutti sullo stesso piano e vanno oltre ogni confine geografico.
Hafez e parte della sua numerosa famiglia sono invitati ad un matrimonio a Yatta.
Hussein,Amura Samua e la cuginetta Rene sono a casa da soli e allora festa tutti insieme!!
Pasta italiana e riso palestinese illuminati da candele, stelle e piccole torce posizionate sulla fronte ci nutrono in questa serata all’aperto sul grande terrazzo.
Spring rilassa e addormenta le bambine con le sue mani d’oro.
Carta della giornata : coraggio
30 luglio

Ore 7.15 briefing con Marco sulle norme di sicurezza per Tuba. Oggi è sabato, “shabbat”, il giorno dedicato dagli ebrei alla preghiera. I coloni dunque sono a casa tutto il giorno ed è più alta la probabilità di attacchi.
0re 8.00 siamo pronti per partire! Mentre aspettiamo Jamal ritroviamo sull’uscio di casa 2 ragazzi, un fotografo e una studentessa israeliana, fermi ad aspettare che un trattore li porti a Tuba…ci stringiamo attorno all’israeliana, quasi a sentire cosi vicino questo ponte.. identifica, per noi, la parte che ci manca, quella che tanto vorremo conoscere, scoprire e comprendere in tutte le sue sfaccettature.
Nel frattempo la situazione si riscalda. Incominciamo a vedere una serie di camionette aggirarsi per le strade del villaggio. È forte il contrasto della loro libertà, prepotenza e arroganza in questo contesto occupato e indifeso. L’entrare dentro il villaggio è visto da noi come un voler impadronirsi di un altro mondo, un imporre la loro presenza.
Le ronde si fanno più intense, siamo tutti fuori davanti a casa di Hafez. D’un tratto la camionetta si ferma proprio davanti a noi, scendono i soldati, armati non solo di armi ma della loro realtà. Noi rientriamo subito in casa, come da suggerimento delle colombe, e guardiamo l’evolversi della scena. Uno dei due soldati alza il tono della voce e chiede di vedere i passaporti di tutti, chiede a Marco (colomba) chi siamo, cosa ci facciamo qui, ricordando a tutti che siamo in zona C, “evacution zone”. Rimaniamo in silenzio, sappiamo che la border police sta abusando del suo potere. Ci sentiamo nudi, indifesi, messi al muro.. incrociamo più volte lo sguardo del soldato, dietro al suo fucile uno sguardo umano: forse è proprio quello che ci accomuna tanto! L’atmosfera si attenua, è distesa grazie alla compostezza e alla professionalità dei volontari di operazione colomba. Marco parla con loro, ci presenta come una delegazione in visita per un giorno nel villaggio, racconta loro che lui vive al villaggio a causa dei violenti attacchi dei coloni israeliani.. Alla fine i soldati non insistono sulla richiesta dei nostri passaporti, e salutano Marco dicendogli: “Take care”.. non è chiaro cosa volessero dire, ma c’è gioia e soddisfazione per l’evoluzione positiva del momento.
Rimaniamo in casa fermi ad osservare altre camionette passare. Anche se solo per poco, sentiamo di aver percepito meglio l’oppressione, la prepotenza esercitata da chi ha il potere in questo paese e pensa di usarlo per gestire uno stato di sicurezza, che invece secondo i nostri pensieri è solo uno stato di controllo. Rimaniamo in silenzio, per un attimo ci sentiamo un po’ palestinesi dentro. Certo non riusciremo mai a capire fino in fondo cosa si prova a vivere in un continuo stato di oppressione mai almeno qualche idea ce la siamo fatta. senza dubbio a salvarci è la consapevolezza che non è la nostra terra.
Il tempo trascorso bloccati in casa, ci ha dato la possibilità di palare con Neriya, cittadina israeliana che vive a Neve shalom, villaggio in cui convivono palestinesi ed israeliani, a nord-ovest di Gerusalemme, ufficialmente in Israele, ma di fatto sulla “green line”.
Come spesso accade Ruzzolo si trasforma in una curiosa reporter e riempie di domande la nostra nuova amica. Veniamo cosi’ a sapere che è una “refusnik” del sevizio militare che in Israele è obbligatorio: 3 anni per ragazzi e 2 ani per le per ragazze. Ci racconta che gli unici due motivi per i quali una donna può per legge rifiutare il servizio obbligatorio sono religiosi o di coscienza. Il sistema però non facilita, infatti per chi come lei rifiuta il servizio militare, la strada è incerta e imprevedibile. Infatti non vi è una procedura uguale per tutti, questo al fine di non permettere di sviluppare strategie da parte di chi rifiuta.
Lei, dopo una privata consulenza giuridica, ha scelto di fallire i test e cosi’è stata esonerata, senza particolari conseguenze. In effetti il fingersi non idonei fallendo i test o il fare apparire di avere disturbi mentali sono altre strade percorribili.
Per gli uomini la legge non prevede alcuna motivazione per rifiutare il servizio militare, solo gli ortodossi possono farlo al termine degli studi, sempre che non finiscano dopo il termine di età previsto.
Di conseguenza, coloro che rifiutano vengono messi in carcere e vanno incontro a diverse difficoltà e ostacoli nel corso della propria vita.
La condivisione è intensa, sembra di essere all’”Uganda”, un coffe bar alternativo di Gerusalemme, ritrovo di giovani attivisti ! Infatti si parla del conflitto, della resistenza e delle manifestazioni contro l’occupazione, da approfondire “Rithm – drum of resitence”!
Sono le 9 quando arriva il nostro pulmino che e ne va senza di noi. Hafez preferisce rimandare la nostra visita a Tuba poiché molti bambini sono ancora a Yatta per i festeggiamenti di un matrimonio. La giornata trascorre veloce a giocare e creare alla scuola di Tuwani.
Ancora laboratori creativi con carta-plastica, per realizzare barchette, maracas, tamburelli, scaccia pensieri. Bella partita a palla mano tra i più grandicelli. Il saluto ad Hafez, che nei primi non sarà al villaggio, ci commuove, ma è solo un arrivederci. La giornata si conclude con la prima condivisione Cip, durante la quale veniamo a sapere il perché di tutte le camionette della giornata.
25 attivisti israeliani, dell’associazione Ta’ayiush, hanno marciato intorno l’avamposto di avat maon per manifestare contro il progressivo allargamento dell’insediamento. Questa associazione da molti anni supporta i villaggi a sud di Hebron. Questa associazione è molto conosciuta dalle colombe, sono stati proprio loro a chiedere la collaborazione degli internazionali qui. Oggi hanno manifestato da soli, per evitare casini (l’arresto) dei palestinesi, ma spesso coordinano azioni insieme ai villaggi, e aiutano con reclami, denuncie e quant’altro possa servire per denunciare l’occupazione.
Carta del giorno è volontà
31 luglio
TUBA….. stavolta non è un lupo a lupo…si parte veramente!
Ore 07.00 jamal arriva puntualissimo, è il primo palestinese che è sempre arrivato in orario e non vive con la filosofia di vita INsHALLAH, della serie forse si o forse no chi lo sa!
Per arrivare a Tuba, ripassiamo per ULMAKER, ritroviamo Edam , un bambino del villaggio, che è li con le pecore .
Ci riconosce , ci saluta , ci ricorda….qualche seme è stato piantato.
Il viaggio per Tuba ci permette di vedere e ammirare il deserto di Giuda, le sue distese, le strade e non strade inventate dal nostro autista metro dopo metro. Appaiono come funghi, in fondo alle valli i villaggi-tende dei palestinesi. Sebbene regalandoci una nuova panoramica del luogo, arrivare con il pulmino ci priva della maestosità dominante dell’avamposto, ben percepibile se si raggiunge tuba a piedi, come fanno i bambini.
E’ un rincontro-incontro nella gioia di riabbracciare la “piccola vedetta” e gli atri bambini. quanti cambiamenti sono ben visibili a partire dalla trasformazione in tenda chiusa divenuta casa di Omar e famiglia. La tenda copre la visuale della valle e dell’avamposto che è di fronte, una vera e propria forma di difesa.
sono pochi i bambini che partecipano al nostro spettacolo, ma la nostra voglia di esserci è immensa e incomincia a farsi sentire non appena iniziamo con i bans e i giochi.
tornano alla mente di alcune bambine “auanagana” e canzoncine già sentite un anno fa.
Certe emozioni rimangono nonostante le distanze e la poca presenza. Il sole scotta , ma imperterriti rimaniamo fermi a guardare le magie del mago orazio che coinvolge i bambini sotto la tenda.

Prima del pranzo che ci viene offerto anche quet’anno, facciamo dei laboratori creativi. Omar arriva in tempo prima del nostro saluto finale.e’ bello rivedersi e ritrovarsi .anche quet’anno gli lasciamo un altro naso rosso simbolo del nostro passaggio. Salutiamo Tuba e le 4 famiglie che la abitano..davanti a noi 4 tende, 3 cammelli , 3 grotte, 1 pala eolica, i pannelli solari….questa è Tuba!
Il pomeriggio come da abitudine incontriamo i bambini alla “Madrasa” (scuola) e li coinvolgiamo con il paracadute e giochi di vario genere. Sappiamo che questi sono gli ultimi giorni e già i bambini ci chiedono “ ma quando partite? Quando tornate?”.questo è proprio il momento in cui senti di essere a casa!
Cena a casa di hafez per festeggiare il compleanno di Morbillo. menù della serata .pizza e pasta asciutta cucinata dai cuochi vip di eccezione .per le donne segue l’hennè sui piedi.
Carta del giorno è fratellanza.
1 agosto
essendo iniziato il ramadan questa notte, la gente non esce e sono sospese tutte le attività, pertanto oggi ci riposiamo e ci organizziamo per la nostra partenza.
Lunga condivisione con le colombe all’albero, dove abbiamo tra l’altro appeso il naso della missione, e saluto speciale di ciascuno di noi a tutto/tutte le persone che abbiamo incontrato e che ci hanno nutrito in questa missione.
Marco ha elogiato il nostro operato sia per quanto fatto a Tuwani che per i villaggi vicini.
siamo stati lo strumento per rinsaldare rapporti, amicizie, e fratellanze e “apri pista” per nuovi rapporti futuri.
Prima del rientro a casa, facciamo un salto al gate, luogo in cui i bambini di Tuba e altri paesi normalmente vengono accompagnati dalla scorta militare israeliana per evitare i continui e costanti attacchi da parte dei coloni di Havat Maon. E’ forte il ricordo della nostra venuta l’anno scorso!
Cena: CIP e CPT tra risate, musica e magia.
Vogliamo ancora fermare su carta alcune immagini: il profondo e lungo abbraccio scambiato dalle donne VIP con Barah per salutarci, la targa che Hafez ci ha donato come VIP per la nostra presenza nella resistenza non violenta, Amir che ci ha onorato del suo canto ..lo stesso del video sul villaggio.
gli zaini sono pronti, con il nuovo giorno betlemme ci aspetta.
Tuwani : un dolce arrivederci a presto !
2 agosto
L’alba risuona tra le colline di Hebron.
il gallo canta e io ( pally) e morbillo decidiamo di fare una corsa per andare a vedere l’alba fino ai piedi di papà albero. e’ bello aspettare un nuovo giorno nell’attesa di sapere cosa accadrà una volta f fuori dal villaggio. Guardiamo l’avamposto , i colori illuminano il boschetto…sfumano da lontano i giochi di luce e ombre. rimaniamo a guardare l’orizzonte, sembra cosi lontano, ma cosi vicino: faravvay so close! Il saluto a papà albero è il momento più toccante: un lungo abbraccio , un immenso respiro, uno sguardo verso il naso rosso appeso lassù…testa- corteccia un lungo silenzio..io e lui una cosa sola…raccolgo un pezzo della corteccia, è tra le mie mani un piccolo mondo..
fantastica l’idea di morbillo di raccogliere altri pezzi per tutti…e’ tardi si parte è ora di scendere da lassù. Salutiamo le colombe, il resto dei bambini non si vede e non si sente.. sono tutti ancora a dormire. È strano lasciare il villaggio senza averli salutati.. forse meglio cosi, il nostro è un dolce arrivederci a presto.
Lasciamo tuani…ci portiamo dietro le nostre orme…i nostri passi…il nostro Esserci..il nostro de-costruire dentro e fuori.
Via verso Betlemme alla scoperta dei campi profughi, insieme alla nostra guida Khaled , un giovane uomo di 16 anni, che ci ospita nel centro culturale nel cuore del campo di Aida.
Aida è solo uno dei 59 campi profughi palestinesi[1] riconosciuti, gestiti dalle Nazioni Unite, in particolare dall’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Middle East), braccio delle Nazioni Unite fondato appositamente sessant'anni fa, per sostenere i profughi palestinesi del 1948 e poi di nuovo i profughi del 1967[2]. (Oggi l’UNRWA provvede ad aiutare più di 4.6 milioni di riugiati che si trovano a Gaza, nella West Bank, in Giordania, Libano e Siria).
A partire dal lontano1947, forze paramilitari ebree, come la Hagganah e l’Irgun, in pochi mesi, in fretta e furia, riuscirono ad evacuare, e più tardi a distruggere più di 513 villaggi Palestinesi, rendendo profughi 600 mila persone.
Nel campo profughi di Aida, in cui ci troviamo oggi, risiedono circa 5500 persone provenienti da 17 villaggi collocati tra Gerusalemme sud e il nord di Hebron.
Questo campo porta il nome di una donna araba, Aida, che ha donato l’appezzamento di terra di sua proprietà per aiutare i profughi.
Khaled ci spiega che i campi sono nati come delle tendopoli in vivibili. Una tenda di 28 metri era usata da almeno 12 famiglie, riunite ciascuna attorno ad uno dei dodici pali portanti della grande tenda. In tutto il campo c’erano solo 4 bagni, uno per zona, non di certo sufficienti per 5500 persone, che vivevano in condizioni fatiscenti, senza acqua corrente, con la fognatura a cielo aperto. Le tende grandi non reggevano al vento, così due anni dopo,nel 1950, vennero sostituite da tende più piccole, a disposizione una per famiglia.
Solo nel 1956 (dopo 8 anni) l’UNRWA costruisce delle case nel villaggio, con stanze di 3m x 3m per ogni famiglia, 3m x 6m per quelle più grandi.
Per le reti fognarie si è aspettato l’anno 2000, l’acqua corrente non c’è ancora.
Una volta al mese, e quando va bene anche ogni 2 settimane, arriva l’acqua. In un giorno si devono riempire tutte le cisterne, tradizionalmente posizionate sui tetti, finita la scorta l’unica possibilità è acquistarla direttamente dagli israeliani, che hanno monopolizzato tutte le risorse, con prezzi assurdi. E quindi finita l’acqua delle cisterne si rimane senza.
Anche la struttura sanitaria è imbarazzante..Khaled ci parla di 8 dottori e 8 infermiere che coprono le necessità di circa 23.000 persone (provenienti anche da altri campi profughi della zona).
“Per fortuna che qui al campo siamo una unica grande famiglia!” ci dice sorridendo, “è la conseguenza del vivere vicini, del fatto che condividiamo tutto. C’è una grande solidarietà tra tutti noi, il problema di uno, diventa un problema di tutti. Siamo tutti dalla stessa parte.. e questo è accaduto anche durante la seconda intifada.” Con orgoglio ci proclama che nel 2001 il campo ha resistito, ad almeno 3 attacchi, come una fortezza. Per poi lottare attivamente in strada e resistere fino alla fine. Sguardi di sgomento tra di noi, non ci aspettavamo una mattinata così.
Oggi ci ritroviamo circondati da palazzi di 3-4 piani, dato che costruire in altezza è l’unico modo per espandersi.
L’arrivo di alcuni bambini, al centro, ci distoglie dalle chiacchiere e iniziamo ad interagire con loro.. in un attimo siamo circondati.. si gioca!!! (Il 60% delle persone che vivono nei campi profughi sono bambini, 2000 circa qui ad Aida)
Il centro in cui ci troviamo è nato nel 1989 come asilo, e solo successivamente, nel 2003, è stato integrato con quello che khaled definisce un centro culturale.. che noi, in Italia, definiremo centro sociale.. ma al di là delle definizioni questo spazio viene davvero gestito bene e molto “sfruttato”:
la mattina con l’asilo per 45 bimbi, i pomeriggi con i corsi di dabka, con i corsi di recupero per gli studenti rimandati e con il progetto di lavoro di ricamo per le donne, dedicato alle famiglie in difficoltà economiche per la disoccupazione o con il capo famiglia in carcere. Ci sono molti ragazzi prigionieri politici che vengono arrestati a Betlemme, anche se è in area A l’esercito israeliano non potrebbe entrare. Con certi discorsi il viso di Khaled si incupisce, il suo sguardo è triste, i toni sono amari. Proprio ieri 2 giovani palestinesi, nel campo profughi di Qalandya (Ramallah), sono stati uccisi dopo il lancio di pietre. Sassi contro proiettili.. si continua a morire[3].( Attualmente circa 350 minorenni palestinesi (under 16) sono trattenuti nelle carceri, spesso con motivazioni politiche. Under 16 perché gli israeliani hanno deciso unilateralmente che solo i ragazzi palestinesi diventano maggiorenni a 16 anni, per gli israeliani il limite rimane 18. Chissà perché?
Vi tralasciamo il lungo racconto sulla gamma di torture e ingiustizie a cui sono sottoposti i prigionieri, ma vi riportiamo la inaspettata motivazione della contrarietà di Khaled al consumo di droghe. Scopriamo che lo spaccio è gestito dagli israeliani, che inizialmente regalano dosi ai giovani per assuefarli, al fine di avere a disposizioni tossico-dipendenti disposti a barattare la droga in cambio di informazioni.
Dopo alcune ore di svago e gioco, trascorse tra sorrisi e schiamazzi, Khaled ci guida tra i vicoli del campo profughi, e ci mostra le cicatrici della guerra,della seconda intifada e dell’occupazione..vediamo palazzi rosicchiati, la scuola con le finestre murate, case evacuate e il muro. Qualcuno di noi gli chiede :“Com’è oggi la vita nei campi?” “Nessuno è felice di vivere qui. La mia famiglia è originaria di un bellissimo villaggio vicino Gerusalemme. Qui fin da piccolo impari tutto, è l’unica cosa buona, impari a cavartela da solo, ad essere autonomo e impari che hai dei diritti che non vengono rispettati, impari a non aver paura, a non arrenderti mai, a lottare, a resistere sempre. L’occupazione inesorabilmente continua, e noi abbiamo il diritto di lottare per la libertà, con qualsiasi mezzo.Un diritto imposto, noi siamo gente ospitale, un popolo pacifico, e non vorremo essere in lotta per riavere una vita vivibile, per tornare nelle nostre case..”
Mentre lo ascoltiamo, con grande interesse, senza giudizio e con rispetto, passiamo sotto a quello che è il simbolo di questo desiderio di milioni di palestinesi, di poter tornare un giorno a casa, (diritto sancito dalla risoluzione ONU n.194[4] ). Un’enorme chiave nera. Una chiave, lunga più di due metri, di antica fattura, come quelle che usavano i nonni per aprire la porta della cantina. La forma è semplice, ma il significato è profondo. Migliaia sono gli anziani che ancora conservano la chiave di quella porta chiusa in fretta più di sessant'anni fa, di una casa rasa al suolo, di un villaggio il cui nome è solo nella mente dei palestinesi.“Ogni villaggio ha una sua triste storia, ogni famiglia la sua tragedia” ,commenta Khaled, “quello che ci accomuna è un'esistenza di dolore, una vita in esilio, di profughi di una guerra lontana che ancora ci perseguita..”
Queste parole sono lame taglienti, fanno male.
Passeggiando sotto un sole arido, lungo la strada che circonda il campo, si susseguono disegni e parole su muretti di cinte, sulle case e sul muro[5]. È quasi impossibile non continuare a parlare dell’occupazione che lo stato di Israele, “democraticamente”, infligge ovunque con gli stessi metodi violenti e illegali. L’obiettivo è ormai chiaro: annettere territorio per rendere impossibile la nascita di uno Stato palestinese sovrano e omogeneo territorialmente[6]. Per concludere la visita al campo saliamo sul terrazzo di un palazzo, da qui si vede bene il muro, il campo, gli insediamenti anche queste immagini fanno male..2 mondi contrapposti. Gli ebrei degli insediamenti (ILLEGALI) hanno una casa su una terra che non gli appartiene, hanno un accesso riservato per passare al di là del muro senza disagi, hanno case servite da ogni confort e con l’acqua possono anche permettersi il giardino. I palestinesi ogni giorno, solo se muniti di permessi, possono passare il muro, solo attraverso un enorme check point, dove vengono umiliati e non rispettati continuamente. Ingiustizia, illegalità, supremazia, violenza, persecuzione.. caratteristiche che ritroviamo anche nel campo profughi di Deheisheh, che visitiamo nel pomeriggio, dopo la visita alla chiesa della natività.
Quello che vediamo, ci dicono che sia il più grande campo profughi della zona, con 17000 abitanti (di cui 2000 non riconosciuti dal regolamento UNRWA)..le strade sono strettissime, gli spazi ridotti.... siamo stanchi di vedere..tanto che iniziamo a delirare.. ad alcuni di noi sembra di stare in un ghetto ebreo. Torniamo a Gerusalemme, dopo le docce, ci regaliamo una giretto nella città vecchia.
Carta estratta: GENEROSITà
3 agosto – 4 agosto
La mattina ci dirigiamo al villaggio di Anata per andare a conoscere la realtà dei campi beduini. Anata si trova nella west bank, quindi un altro check point ci aspetta. Non ci meravigliamo di incrociare di nuovo militari poco più che diciottenni che con il peso dei loro mitra si muovono per controllare i passaporti. E’ pesante per tutti noi vivere la differenza di trattamento riservata a chi è in fila per il nulla osta. Uno sguardo veloce agli internazionali e toni aggressivi ai palestinesi.
Ad accoglierci ad Anata troviamo Ilaria che lavora per la ONG Vento di Terra. Ci carica sulla sua macchina e attraversiamo insieme il villaggio dichiarato Zona C, area di esclusiva pertinenza amministrativa e militare dell’esercito israeliano. Zona nella quale sono avvenute, ci spiega Ilaria, a partire dal 1995, numerose demolizioni di abitazioni palestinesi definite “illegali” dall’autorità israeliana. L’ultima separazione è avvenuta tra il 2006 e il 2008, con la costruzione del “muro della vergogna”. Il muro cinge Anata e confina con la zona di espansione dell’insediamento israeliano. Ilaria ci spiega la realtà dei campi beduini situati in aree sempre più strette tra l’avanzare del muro, gli insediamenti, le infrastrutture militari e lo sviluppo urbanistico che caratterizza il territorio. Si tratta di terreni scadenti e degradati, che spesso ospitano le discariche a cielo aperto dei villaggi palestinesi della cintura di Gerusalemme est. Le tende beduine di un tempo hanno fatto posto a baracche realizzate con materiale di riciclo, del tutto simili a quelle delle bidonville delle periferie metropolitane asiatiche ed africane.
Ilaria ci parla del suo personale coinvolgimento nel progetto che intende promuovere i diritti fondamentali delle donne e dei minori delle comunità beduine Jahalin. Vogliono intervenire sulla condizione della donna tramite l’avvio di una cooperativa artigianale volta alla produzione di gioielleria beduina, artigianato tipico Jahalin, da commercializzare sia sul mercato locale, sia tramite il circuito Equo e solidale italiano. Nello stesso tempo il progetto intende sostenere il diritto all’infanzia e all’istruzione dei minori implementando un servizio educativo mirato. Ilaria si scusa con noi perché non può dedicarci il tempo che vorrebbe. Una consulente italiana segue le donne nei laboratori e ci accompagna nella scuola del campo. Insieme ai due educatori eccezionali, ravvad e sahed, avviamo i bans e giochi che ripetiamo il giorno successivo anche in presenza del nostro amico Ahmad.
Tornare il giorno dopo con il nostro amico ci ha reso felicissimi. Ahmad ha la capacità di entrare dentro alle persone di coinvolgerle, di essere parte di loro e non solo perché parla la stessa lingua.
concludiamo i nostri interventi con la ONG, regalando ai bambini il nostro spettacolo: è l’ultima volta che ci esibiamo davanti al nostro pubblico e diamo il massimo.
torniamo a Gerusalemme , ennesimo controllo da parte dei militari.. stavolta con noi c’è ahmad e la trafila per lui è sempre più lunga...prendono i suoi documenti, fanno domande, alzano i toni della voce.. vedere queste differenze, queste umiliazioni umane fa stare male tutti…not same rights..non capiremo mai fino in fondo come si possa sentire un arabo in questa terra, ma ahmad ha una straordinaria forza di reazione di fronte a certe situazioni.
Serate in giro per gerusalemme ..ultimo saluto sui tetti della città.
Ultime carte: volontà - silenzio
5 agosto
la missione volge al termine solo fisicamente…accompagniamo pumma, fossetto, b­_orazio, ruzzi, morbillo a prendere lo sherut .. nei nostri cuori sappiamo che la missione non avrà mai fine.
Ultima carta estratta : serenità.